LETTERATURA INTERNAZIONALE

A cura del Dr Mauro Ferri Borgogno


1)JP 2001-72-pag. 1767

“Evidenza istologica e radiologica di aumento verticale di cresta mediante utilizzo della distrazione osteogenetica: 10 distrattori posizionati consecutivamente”

B. Mec Allister

Premessa: L’aumento verticale di cresta per posizionamento implantare è uno delle maggiori sfide per il chirurgo. Un’altezza ossea verticale inadeguata, compromette il posizionamento implantare e la seguente restaurazione. La detergibilità, l’estetica e le proprietà meccaniche del restauro possono venire compromesse. Mentre la tecnica dell’osteodistrazione è stata applicata già da 40 anni per le ossa lunghe, solo recentemente è stata descritta una tecnica d’aumento verticale di cresta precedente all’inserzione implantare. Materiali e metodi: In questo studio si valutò il posizionamento di 10 distrattori in 7 pazienti. Vengono riviste la tecnica chirurgica, il periodo di latenza, il grado di distrazione e il periodo di consolidamento. Risultati: La tecnica della distrazione osteogenetica risultò in un aumento medio verticale di 7 mm, con una range da 5 a 9 mm. Non vi furono complicazioni che influenzassero il risultato della procedura distrattiva. Ad oggi, nessuno dei 16 impianti, posizionati e caricati nei siti distratti, è fallito. Conclusioni: In conclusione, con questa tecnica di distrazione osteogenetica per l’aumento verticale di cresta, si rilevò un’evidenza clinica, istologica e radiologica di aumento verticale di osso.

2)JOMI 2002-2-pag. 161

“Valutazione di una complessa membrana-cellula ottenuta mediante Bioingegneria per rigenerazione guidata dell’osso”

J. Schanz

Scopo: Di norma un numero di membrane riassorbibili e non riassorbibili utilizzate per rigenerazione guidata dell’osso, portano ad una completa rigenerazione ossea. Scarse proprietà meccaniche, rapida degradazione e mancata integrazione con le componenti biologiche, risultano in un fallimento nel creare e mantenere un ambiente appropriato e nel supportare attivamente il rimodellamento tissutale. In questo studio si valutò il potenziale osteogenetico di cellule umane del periostio della teca cranica in combinazione con membrane ultra fini di policaprolactone (pc2) a lenta biodegradazione. Materiali e metodi: Si condussero analisi in vivo e in vitro di complessi di bioingegneria utilizzando tecniche per immagini, immunoistochimiche e istologiche. Si testarono due tipi di membrane. Il gruppo 1 consistette in una membrana piatta, nel gruppo 2 le membrane furono trattate con idrossido di sodio. Risultati: I risultati in vitro mostrarono che le cellule simil-osteoblastiche si attaccarono e proliferarono sulle membrane con formazione di matrice extracellulare. Le membrane trattate con idrossido di sodio mostrarono migliori processi di ancoraggio e proliferazione cellulare, risultando in un denso strato cellulare, dopo due settimane di coltura. In vivo si osservò formazione di tessuto mineralizzato in associazione ad una sua vascolarizzazione. Si evidenziò calcificazione della matrice extracellulare, con formazione di noduli, sia mediante istologia che con microscopia elettronica a scansione. Discussione: Le membrane PCL promuovono l’attacco, la crescita e la differenziazione osteogenetica di cellule umane primarie simil-osteoblastiche. Le membrane trattate con idrossido di sodio dimostrarono un maggior attacco cellulare grazie ad una aumentata idrofilia. Conclusioni: Questi risultati hanno un potenziale applicativo nello sviluppo di una nuova generazione di membrane osteoconduttive.

3)JOMI 2002-2-pag. 175

“Effetto di tre diversi sistemi di distribuzione del torque sul precarico della vite d’oro del giunto tra cilindro d’oro e vite del pilastro”

K. Tan

Scopo: Questo studio misurò il precarico della vite d’oro all’interfaccia del giunto tra cilindro d’oro–vite del pilastro, ottenuto da tre sistemi di distribuzione del torque.Materiali e metodi: Utilizzando un pilastro standard precalibrato e munito di rilevatori di tensione come cellula di carico, i tre diversi sistemi di distribuzione del torque testati, mostrarono di avere differenze significative nel precarico della vite d’oro, quando veniva connesso un pilastro standard. Risultati: Quando si misurarono i precarichi, essi furono 291.2 Ncm per dispositivi di torque manuali impostati a 10Ncm, 340.3Ncm per dispositivi elettronici impostati a 10Ncm velocità bassa, 384.4Ncm per dispositivi elettronici impostati a 10Ncm velocità alta e 140.8Ncm per l’avvitamento manuale con cacciavite. Si trovarono anche differenze significative nel precarico della vite anche tra diversi operatori durante il serraggio manuale. Discussione: L’avvitamento manuale fornisce un precarico insufficiente e non può essere raccomandato per il serraggio finale della vite d’oro. Differenti unità di controllo del torque, impostati a 10Ncm, imprimono medie di precarico alla vite d’oro che vanno da 264.1Ncm fino a 501.2Ncm. Conclusioni: I distributori elettronici del torque dovrebbero essere regolarmente ricalibrati per ottenere un utilizzo ottimale.

4)JOMI 2002-2-pag. 184

“Livelli di fattori di crescita nel Plasma arricchito di Piastrine (PrP) ottenuto con due diversi metodi: il kit Prp tipo CURASAN versus il sistema PCCS PrP”

G. Weibrich

Scopo: Il potenziale dei trattamenti con fattore di crescita trombocitari autologhi, sono un’importante ragione per migliorare i metodi per isolare il plasma arricchito di piastrine (PrP). Due metodi per estrarre il PrP direttamente da parte del chirurgo, sono attualmente disponibili; questo studio fu condotto per confrontare i livelli di fattore di crescita nei risultanti PrP. Materiali e metodi: Il sangue fu prelevato da 46 donatori sani (17 maschi, 29 femmine) tra i 20 e i 59 anni (29.9 +/- 7.8). Il PrP fu quindi separato da ogni campione mediante entrambe i metodi PCCS (3i) e CURASAN (PrP kit, CURASAN). Risultati: Il contenuto di fattore di crescita differì significativamente per il TGF-beta1 (PCCS 467.1 ng/ml; CURASAN 79.7 ng/ml) (P<.0001), e per il PDGF-AB (PCCS 251.8 ng/ml; CURASAN 314.1 ng/ml) (P<.0001); fu meno significativo per IGF-I (PCCS 91.0 ng/ml; CURASAN 69.5 ng/ml) (P<.02). Il maggior conteggio di piastrine nel PCCS PrP (PCCS 2232500/microL; CURASAN 1140500/microL) sembrò essere in relazione con maggior livello di TGF-beta1 (coefficiente di correlazione di Spearman, rs=0.7), mentre la maggior conta leucocitaria nel CURASAN PrP (PCCS 15300 microL; CURASAN 33150 microL) mostrò solo una minima correlazione con livelli maggiori di PDGF-AB (rs= 0.46). Discussione: Il prodotto finale del PCCS ha sia una maggior conta di piastrine e un maggior contenuto totale dei fattori di crescita testati. Tuttavia, l’effetto biologico dei livelli di fattori di crescita investigati rimane sconosciuto. Conclusioni: Il PrP contiene fattori di crescita in alte concentrazioni. Previsioni precise di livelli di fattori di crescita basati sulla conta dei trombociti nel sangue o nel PrP appaiono limitate. Vi sono diverse fonti per i fattori di crescita (piastrine, leucociti, plasma).

5)JOMI 2002-2-pag. 191

“Scelta del paziente per impianti osteointegrati. Considerazioni orali e sistemiche”

P. Sugerman

Questo studio rivede la letteratura e discute la selezione del paziente per impianti osteointegrati e l’effetto di patologie sistemiche e locali sul successo degli impianti stessi. Gli impianti osteointegrati possono essere preferibili alle dentiere convenzionali in pazienti con osso o mucose di supporto scarsi, xerostomia, allergia alle resine, marcato riflesso al vomito, suscettibilità alla candidosi, malattie inerenti la funzione motoria oro-facciale o in pazienti che richiedano una forza ottimale nel morso, valide estetica e fonetica. La dentiera o le protesi fisse parziali possono essere preferibili agli impianti in pazienti in crescita, epilettici, a rischio di carcinoma orale, di anafilassi, di severa emorragia, di crisi steroidea, di endocarditi, di osteoradionecrosi, di infarto del miocardio o di periimplantite. Si sottolinea un approccio sistematico nella selezione dei pazienti per implantologia e si raccomanda una raccolta centralizzata dei risultati riportati.

6)JOMI 2002-2- pag. 202

“ Effetto sulle proprietà di superficie degli impianti osteointegrati in seguito ad irradiazione mediante Laser Nd: YAG; Ho; YAG; Er: YAG; CO2 e Ga AIAs”

M. Kreisler

Scopo: Analizzare le potenziali alterazioni di superficie negli impianti osteointegrati indotte dall’irradiazione con i comuni laser dentali. Materiali e metodi: Dischi di titanio, sabbiati e mordenzati, spruzzati di plasma, di idrossiapatite e lisci, furono irradiati a differenti intensità, mediante laser. I campioni vennero esaminati al microscopio elettronico a scansione e con spettroscopia ad energia dispersiva. Con una modalità dipendente dall’energia somministrata, il laser a pulsazioni IAG indusse la formazione di parziali fusioni, fratture e crateri su tutte 4 le superfici. Entro i valori di energia applicati il laser CO2 causò alterazioni di superficie su rivestimenti in idrossiapatite e plasma, così come sulle superfici mordenzate. Il laser per irradiazione Ga AIAs non danneggiò alcuna superficie. La spettroscopia dell’energia dispersiva rivelò un’alterazione dei composti chimici delle superfici relativamente al titanio, ossigeno e silice.

Discussione: L’utilizzo clinico della maggior parte dei comuni laser dentali può indurre alterazioni sulla superficie degli impianti. Fattori rilevanti non sono solo il sistema del laser e la potenza utilizzate ma anche il sistema di applicazione. Conclusioni: I risultati di questo studio indicano che i laser Nd: YAG e Ho: YAG non sono validi per la decontaminazione delle superfici implantari, indipendentemente dalla potenza utilizzata. Con i laser Er: YAG e CO2, la potenza deve essere limitata per evitare danni alle superfici. I laser Ga AIAs sembra essere sicuro anche se possibili alterazioni di superficie potrebbero verificarsi.

7)JOMI 2002-2-pag. 212

“Protesi fisse parziali sostenute da denti naturali e impianti nel Sistema Branemark: un resoconto a tre anni”

T. Tangerud

Scopo: Valutare delle protesi fisse parziali (FPDs) sostenute da una combinazione di denti naturali ed impianti in varie situazioni cliniche. Materiali e metodi: In trenta pazienti, 86 denti e 85 impianti furono utilizzati come pilastri per 30 FPDs di varie estensioni (media=8.6 unità); 23 nella mascella e 7 nella mandibola. Le protesi avevano una parte rimovibile avvitata mediante viti sia agli impianti che ad una parte cementata sui denti pilastro e quindi funzionarono come protesi rigide, fisse, parziali. Risultati: Cinque impianti furono persi prima della protesizzazione, due dopo il carico, determinando un tasso di sopravvivenza del 91% nella mascella e del 95.5% nella mandibola. Le complicazioni furono principalmente legate ai tessuti molli e furono tutte trattate. Un paziente fu perso al controllo a distanza. Le rimanenti 29 FPDs rimasero stabili per tutto il periodo di osservazione di tre anni. Discussione: Variazioni nell’accumulo di placca, sanguinamento al sondaggio, profondità di sondaggio e livelli di osso marginale, furono accettabili. Il tasso di sopravvivenza degli impianti fu confrontabile a quello di studi simili. Ulteriori ricerche sono necessarie riguardo al disegno protesico. Conclusioni: Questi risultati, uniti alla soddisfazione dei pazienti, indicò che il supporto combinato tra impianti e denti per protesi fisse, può essere un trattamento appropriato per i pazienti.

8)JOMI 2002-2-pag. 220

“Precisione di strumenti meccanici limitatori del torque per impianti”

J. Standlee

Scopo: Esaminare la precisione di tre chiavistelli meccanici per torsione (cricchetti). Materiali e metodi: Differenti torque erogati da strumenti meccanici per torsione della Nobel Biocare, Straumann ITI e DinaTorq ITL furono determinati utilizzando un particolare dispositivo collegato ad una macchina per test della INSTRON. Sei strumenti venivano tenuti nel dispositivo per il test ed orientati in modo che l’attivazione degli strumenti determinasse un puro effetto di torsione. Risultati: Generalmente differenze significative si verificarono tra unità individuali e i livelli desiderati di torque per il controllore di torque della Nobel Giocare. Discussione: I valori medi di torque degli strumenti dell’ITI e ITL rimasero all’interno del 10% dei rispettivi livelli di torque. La conoscenza dei livelli di torque applicati alle viti dei pilastri e delle protesi ad essi connesse, è necessario per ottenere un precarico ottimale. Gli strumenti ITI e ITL testati in questo studio furono in grado di fornire torque precisi o quasi rispetto ai livelli prefissati. Conclusioni: Il torque fornito da ciascun strumento si discostò in diverse entità, dai livelli prefissati.

9)JOMI 2002-2-pag. 225

“Controllo longitudinale di impianti osteointegrati in pazienti con resezioni ossee.”

M. Goto

Scopo: Studiare gli effetti degli innesti ossei e della radioterapia sui tassi di sopravvivenza degli impianti. Materiali e metodi: Questo controllo coinvolse 36 pazienti con 180 impianti che furono caricati tra il gennaio ’89 e il dicembre 2000 mediante riabilitazione protesica implanto-supportata dopo resezione ossea. Erano compresi 20 pazienti con tumori maligni, 12 con tumori benigni e 2 con osteomielite e cisti. Risultati: Un totale di 15 impianti (11 nella mascella e 4 nella mandibola) furono rimossi per varie ragioni durante lo stadio di controllo. I tassi di sopravvivenza degli impianti furono calcolati mediante il metodo di Kaplan-Meier; il tasso complessivo di sopravvivenza per i 180 impianti fu dell’88.6%. I tassi specifici furono i seguenti: in osso residuo 73.8% nella mascella e 95.2% nella mandibola; in osso innestato, 80% nella mascella e 94.1% nella mandibola; nell’osso irradiato, 79.7% e nel non irradiato 93.5%. Descrizione: Una radioterapia con dose di 30 Gy, fu somministrata in pazienti con tumori maligni ma non a quelli con tumori benigni, cisti o osteomielite. Non furono rilevate differenze tra i posizionamenti in seguito a resezione ossea per tumori maligni, benigni, cisti o osteomieliti. Gli impianti persi variarono in lunghezza tra 7 e 12 mm. Tra questi, la perdita fu più frequente con i corti (lunghezze fino a 10 mm). Conclusioni: I risultati clinici ottenuti nel presente studio sono simili a quelli ottenuti da altri ricercatori. Tuttavia la ricostruzione ossea e protesica non dovrebbe essere effettuata dal solo chirurgo orale; la funzione orale e maxillo-facciale dovrebbe essere ripristinata utilizzando un approccio di squadra in stretta cooperazione tra specialisti in protesi e parodontologia per migliorare il risultato della terapia implantare.

10)JOMI 2002-2- pag. 231

“Effetti dei materiali protesici e dell’unione di protesi sulla tensione dell’osso periimplantare attorno ad impianti in osso di scarsa qualità: un’analisi numerica”

T. Wang

Scopo: Si approntò un modello dell’elemento finito tridimensionale, consistente di un blocco di osso e due corone finite di premolari sostenute da due impianti cilindrici adiacenti senza osso corticale immediatamente circostante e lo si utilizzò per testare gli effetti dei materiali protesici e dell’unione di protesi sulla tensione dell’osso periimplantare sotto carichi statici. Materiali e metodi: L’equivalente massima tensione dell’osso periimplantare (tensione di von Mises [VM]) fu analizzata quando un carico verticale o orizzontale di 1 Newton veniva applicato al centro di una singola corona in resina, in lega aurea o in ceramica, unita o no alla corona adiacente. Risultati: I risultati numerici indicano che: 1) in una corona singola, non si rilevarono differenze significative nella tensione massima VM tra diversi materiali, sia per carichi orizzontali che verticali; 2) unire le corone diminuisce la tensione massima VM indotta dal carico orizzontale, e la tensione massima VM aumenta di circa 14% relativamente al carico orizzontare quando il materiale restaurativo fu cambiato dalla lega aurea o ceramica alla resina. Discussione: Entro le condizioni di questo studio, il materiale protesico di una corona singola ha effetti insignificanti sulla tensione dell’osso periimplantare. Unire le corone diminuisce la tensione periimplantare sotto carico orizzontale e la lega aurea e la ceramica mostrarono entrambe meno tensione sull’osso periimplantare rispetto alla resina nella situazione di corone unite sotto carico statico orizzontale. Conclusioni: Unire le corone di impianti adiacenti con materiale rigido è consigliabile per osso sostenuto da osso di scarsa qualità.

11)JOMI 2002-2- pag. 238
“Utilizzo di innesti autologhi in blocco prelevati dal ramo mandibolare per aumento verticale di cresta e inserzione di impianti: uno studio pilota.”

P. Proussaef

Scopo: Questo studio presenta un’analisi clinica, radiografica, di laboratorio, istologica e istomorfometrica dell’utilizzo di innesti di osso autologo in blocco prelevati dal ramo mandibolare per l’aumento verticale di cresta ed inserzione implantare. Materiali e metodi: Gli innesti autologhi in blocco furono fissati al sito ricevente mediante viti di fissazione mentre una miscela di osso midollare autologo e materiale bovino inorganico (BIO-OSS) venne utilizzato in periferia. Tutti gli innesti apparvero bene incorporati al sito ricevente al tempo della riapertura. Risultati: Le misurazioni radiografiche mostrarono una media di 6.12mm di aumento verticale di cresta un mese dopo la chirurgia e 5.12mm 4/6 mesi dopo la chirurgia. Misurazioni volumetriche di laboratorio mostrarono una media di 0.91ml di aumento di cresta alveolare un mese dopo la chirurgia e 0.75ml sei mesi dopo l’intervento. Misurazioni lineari di laboratorio mostrarono 6.12mm di aumento verticale di cresta un mese dopo la chirurgia e 4.37mm 4/6 mesi dopo. L’analisi istologica indicò segni di attivo rimodellamento in tutti i campioni. L’analisi istomorfometrica del particolato d’osso periferico, indicò presenza d’osso del 34.33% dell’area innestata. Mentre 42.13% dell’area fu occupata da tessuto fibroso e 23.5% da particelle residue di BIO-OSS. Descrizione: I risultati dimostrarono il potenziale degli innesti di osso autologo in blocco prelevati dal ramo ascendente della mandibola nel mantenere la loro vitalità. Il tasso di riassorbimento osseo del 17.58% e quello radiografico del 16.34% furono in accordo con la precedente letteratura. Un’esposizione precoce apparve compromettere i risultati, mentre quelle tardive non influenzarono la vitalità dei blocchi d’osso autologo. Conclusioni: Blocchi autologhi di osso mandibolare mantengono la loro vitalità quando utilizzati per aumenti verticali di cresta alveolare. Minerale bovino inorganico (BIO-OSS) può venir utilizzato alla periferia dell’innesto in blocco se miscelato ad osso midollare autologo.

12)JOMI 2002-2-pag. 249
“Impianti dentali inseriti in siti estrattivi innestati con vetro bioattivo: istologia umana e risultati clinici”

M. Norton

Scopo: Valutare il risultato clinico di impianti inseriti in siti innestati con vetro bioattivo. Materiali e metodi: 17 pazienti trattati consecutivamente vennero inviati ad uno specialista privato in chirurgia per la riparazione di difetti dento-alveolari e/o il mantenimento di siti estrattivi, prima dell’inserzione implantare. Si utilizzò come materiale d’innesto alloplastico, il vetro bioattivo disponibile in una o due forme. All’inserzione degli impianti furono prelevati campioni d’osso mediante frese carotatrici, processati ed esaminati per valutare la risposta tissutale al microscopio. Vennero valutati la mobilità implantare, il livello marginale dell’osso e lo stato dei tessuti molli per un periodo di 2/3 anni per determinare il successo del trattamento. Risultati: Un totale di 40 impianti Astra Tech vennero posizionati. Il tasso complessivo di successo alla fine dello studio fu dell’88.6% per impianti che furono in funzione per un periodo medio di 29.2 mesi (da 22 a 34 mesi). Un paziente con 5 impianti di successo morì dopo 18 mesi di carico. A quel tempo il tasso cumulativo di successo fu del 90%. Un altro paziente a cui fu diagnosticato un cancro intestinale perse 3 impianti. Se questo paziente fosse stato escluso dai dati, il tasso di successo cumulativo sarebbe salito a 96.8%. La media di perdita ossea marginale fu di 0.5 mesialmente e di 0.4mm distalmente per un controllo massimo di 36 mesi. Un’istologia umana dimostrò la presenza di tessuto connettivo senza segni di infiammazione, fino a 6 mesi. Sempre maggiore evidenza di formazione ossea fu rilevata in diretta relazione col materiale vetroso bioattivo oltre questo periodo. Discussione: L’esigenza di riparare e di aumentare difetti dento-alveolari necessita dell’uso di osso autologo o di sostituti che possono evitare la morbidità addizionale di una procedura di prelievo e senza rischi di infezione crociata. L’uso di vetro bioattivo è stato proposto come valido sostituto d’osso. Il presente studio pone l’attenzione sul lungo periodo di guarigione richiesto per ottenere anche una piccola quantità di incorporamento di nuovo osso con l’innesto, come si è visto istologicamente. Tuttavia, l’alto tasso di osteointegrazione e la continua funzione a medio termine degli impianti posizionati in questi siti innestati, indicherebbe che il vetro bioattivo non comprometta l’osteointegrazione. Tuttavia, è probabile che l’integrazione iniziale sia derivata da quelle aree a contatto con l’osso autologo preesistente nel sito. Conclusioni: Gli impianti sopravvivranno fino a 3 anni innestati con vetro bioattivo, anche quando questi innesti sembrano solo lentamente condurre la crescita di nuovo osso.

13)JOMI 2002-2-pag. 258
“Aspetti della gestione del rischio in implantologia”

N. Givol

Premessa: Classificare e revisionare le complicazioni collegate all’implantologia che sono risultate in azioni legali. Materiali e metodi: I dati di 61 pazienti (39 donne e 22 maschi) furono analizzati retrospettivamente secondo una formula strutturata. L’età variò dai 28 ai 78 anni (media 49+/-12 anni). L’intervallo in mesi tra il danno effettivo e l’azione legale variò da 0 a 60 mesi (media 12.7 mesi). Risultati: Il tipo, la lunghezza, il diametro e il sito implantare variarono ampiamente e non ebbero influenza sul rapporto di responsabilità. Metà delle azioni legali furono classificate come effettivo danno organico (perdita di sensibilità, fistola oro-antrale, sanguinamento con rischio di decesso); il 35% dei processi furono classificati come complicazioni tardive; e il 15% furono in relazione a complicazioni immediate che non portarono ad un effettivo danno organico. I periti riscontrarono la responsabilità in 41 dei 61 casi. Gli errori del clinico che portarono alla complicanza furono classificati come preoperativi in 39 dei 41 casi. La competenza del medico fu valutata valida in 40 casi e non valida di 17 casi. Discussioni e conclusioni: I clinici dovrebbero informare il più in fretta possibile le loro assicurazioni per ottenere aiuto professionale. Le maggiori cause per azioni legali sono effettivi danni biologici e maggiori insoddisfazioni. I clinici dovrebbero impiegare più tempo ed attenzione, dell’intero tempo di trattamento, alla diagnosi e pianificazione preoperativa.

14)JOMI 2002-2-pag. 263

“Valutazione della precisione di posizionamento implantare nella mascella mediante sistema di navigazione”

A. Gaggl

Premessa: L’utilizzo della navigazione intraoperatoria mediate tomografia computerizzata (CT) ha grandemente influenzato la chirurgia in molte specialità. In questo studio si valutò la precisione del sistema SMN (Zeiss, Oberkochen, Germania) per il fresaggio e conseguente posizionamento implantare mediante la navigazione. Questo studio dovrebbe dimostrare la validità dei sistemi di navigazione per l’inserzione implantare assistita dal computer nella mascella, per evitare la perforazione del seno mascellare. Materiali e metodi: 60 fresaggi bersaglio furono eseguiti dopo esame TAC su 10 manichini per fresaggio poliuretanici standardizzati. I manichini vennero prodotti con aperture craniali del seno mascellare. Le sezioni topografiche avevano una distanza di 1mm. In seguito i dati della TAC vennero trasferiti alla stazione di lavoro del sistema SMN e venne eseguita la registrazione dei punti di repere (fiduciali) per la sovrapposizione del manichino originale e del modello informatico. Il riferimento del modello fu eseguito con l’aiuto di uno strumento di fresaggio. Questo strumento di fresaggio fu utilizzato per il successivo fresaggio mediante navigazione assistita nella mascella. Il bersaglio del fresaggio fu il pavimento del seno mascellare.

Lo scopo era di avvicinarsi il più possibile senza perforarlo. La distanza tra il fondo del sito fresato e il pavimento del seno mascellare, venne misurata dopo aver sezionato il manichino. In altri 10 manichini gli impianti vennero inseriti dopo aver inserito 60 fori fresati. Risultati: Nella prima parte dello studio si trovò una media di profondità di fresaggio di 6.97mm e una distanza media dal pavimento del seno mascellare di 0.11mm (deviazione standard = 0.2mm). In 13 campioni il bordo inferiore del seno fu perforato. Nella seconda parte dello studio, una perforazione del pavimento del seno mascellare con gli impianti fu rilevata in 47 casi. La distanza media dal seno mascellare fu di 0.25mm (deviazione standard = 0.2mm). Discussioni e conclusioni: Si evidenziò una alta precisione della navigazione basata sulla TAC per il fresaggio controllato perimplantare, ma un’alta incidenza di perforazioni nel seno mascellare fu causata dalla successiva inserzione implantare.

15)JOMI 2002-2- pag. 271

“Chirurgia implantare senza lembo: un’analisi clinica retrospettiva a 10 anni”

L. Campalo

Scopo: Questo articolo è un’analisi clinica retrospettiva di impianti inseriti con approccio senza lembo di accesso. Materiali e metodi: 770 impianti furono inseriti in 359 pazienti per restaurare arcate sia completamente che parzialmente edentule mediante protesi fisse o dentiere. Ogni paziente fu esaminato dopo 3, 6, 12 mesi e una volta all’anno. Le protesi furono rimosse, se possibile, e la mobilità implantare fu testata, si eseguirono radiografie periapicali e un sondaggio parodontale. Gli impianti furono considerati falliti se per mobilità o dolore dovettero essere rimossi o se mostrarono più di 0.5mm di perdita ossea marginale all’anno e segni di periimplantite attiva. Risultati: Il tasso cumulativo di successo per impianti posizionati senza lembo in una sola fase chirurgica, dopo un periodo di 10 anni variò dal 74.1% per impianti posizionati nel 1990 al 100% nel 2000. Discussioni: Dal momento che l’inserzione implantare è generalmente una tecnica chirurgica “cieca”, si deve prestare attenzione durante il posizionamento implantare. L’angolazione degli impianti, influenzata dal fresaggio, è critica per evitare perforazioni delle pareti corticali, linguali e vestibolari, specialmente linguale ai molari mandibolari e vestibolarmente alla premaxilla. Non dovrebbero esserci problemi se il paziente è stato accuratamente selezionato e vi è un adeguato spessore osseo a disposizione per il posizionamento implantare. Per ogni procedura chirurgica vi è una curva di apprendimento dopodiché diventa routine. Vi sono molti vantaggi sia per il paziente che per il chirurgo, dal momento che la procedura è più rapida, il sanguinamento è minimo, l’inserzione è veloce e non necessitano punti di sutura. Conclusioni: La chirurgia implantare senza lembo è una procedura predicibile in caso di corretta selezione del paziente ed esecuzione della tecnica.

16)JPD 2002-87-pag. 140

“Valutazione istologica di un impianto a vite, a forma di radice, ricoperto di idrossiapatite, posizionato in un sito mascellare con difetto orizzontale e prelevato da un soggetto umano. Un rapporto clinico”

P. Proussaef

Questo rapporto clinico descrive l’analisi al microscopio di un impianto a forma di radice, ricoperto di idrossiapatite da un soggetto di 89 anni dopo 10 mesi di servizio. L’impianto non fu mai caricato e fu rimosso perché non protesizzabile. Clinicamente, l’area vestibolare dell’impianto era ricoperta di tessuto molle, mentre il lato palatino era ricoperto da osso. L’analisi al microscopio luminoso, rivelò stretto contatto tra l’idrossiapatite e l’osso senza segni di dissoluzione del rivestimento. Gli osteociti erano presenti e i canali Haversiani erano in stretta prossimità della superficie implantare. Il lato vestibolare dell’impianto dimostrò da leggero a moderato infiltrato infiammatorio e segni di dissoluzione del rivestimento di idrossiapatite. Queste osservazioni suggerirono che il rivestimento di idrossiapatite può resistere alla degradazione se a contatto con l’osso, ma può essere più soggetto a dissoluzione se a contatto col tessuto molle.

17)JPD 2002-87-pag. 173
“Risposta del tessuto periimplantare di impianti avvitati, rivestiti di idrossiapatite ed immediatamente caricati”

K. Rungcharasseeng

Esposizione del problema: Anche se sono stati riportati alti tassi di successo con impianti immediatamente caricati, il tessuto periimplantare non è stato ben documentato. Scopo: Questo studio valutò il successo implantare e la risposta del tessuto periimplantare di impianti a forma di radice, avvitati, rivestiti di idrossiapatite ed immediatamente caricati e sostenenti sovraprotesi mandibolari a barra con dentiera superiore come antagonista. Materiali e metodi: 5 pazienti (3 uomini e 2 donne; età media 61 anni) ricevettero 4 impianti a forma di radice rivestiti di idrossiapatite nella regione interforaminale della mandibola. Gli impianti vennero rigidamente legati con una struttura metallica entro 24 ore. La protesi finale con attacchi EDS venne inserita 2/3 settimane più tardi. Gli impianti e i tessuti periimplantari furono valutati clinicamente e radiograficamente 0, 1, 3, 6 e 12 mesi dopo l’inserzione protesica. I dati vennero analizzati con ripetute misurazioni ad 1-via dell’analisi della varianza (P<.05). Risultati: Tutti gli impianti erano stabili alla fine del periodo di osservazione (valore medio del Periotest = -5.9 +/- 1.4). Nessuna radiotrasparenza fu evidenziata e nessun impianto venne perso. Le medie dei cambiamenti dell’osso marginale furono –0.42 +/- 0.34, -0.84 +/- 0.55, -1.14 +/- 0.80 e –1.16 +/- 0.89mm ai controlli ad 1/3/6 e 12 mesi rispettivamente (P<.001). Diminuzioni significative nei tassi di cambiamento nell’osso marginale vennero notate ad ogni intervallo di tempo (P<.001). In aggiunta, vi furono diminuzioni significative nella profondità di sondaggio (P<.001) e nell’indice di placca (P<.001), ma nessuna differenza significativa nella frequenza del sanguinamento al sondaggio (P = 64). Conclusioni: Entro i limiti di questo studio, la risposta del tessuto periimplantare di impianti ricoperti di idrossiapatite immediatamente caricati fu favorevole e confrontabile a quella di impianti con carico ritardato a distanza di un anno. Implicazioni cliniche: La risposta dei tessuti molli periimplantari e il tasso di successo implantare in questo studio a breve termine, indica che impianti a forma di radice, avvitati, ricoperti di idrossiapatite ed immediatamente caricati e sostenenti sovraprotesi mandibolari a barra possono essere una valida scelta per pazienti completamente edentuli. Tuttavia ulteriore ricerca e studi a lungo termine sono necessari per avvallare la predicibilità di questo trattameto.

18)JP 2002-1- pag. 94
“Confronto istologico di guarigioni di alveoli estrattivi innestati con vetro bioattivo o un alloinnesto di osso demineralizzato, congelato ed essiccato (DFDBA): uno studio pilota”

S. Froum

Premessa: Vari materiali sono stati utilizzati immediatamente dopo estrazioni dentarie per riempire e/o coprire l’alveolo in un tentativo di limitare o prevenire il riassorbimento crestale. Lo scopo del presente studio pilota fu di stabilire un modello affidabile per valutare l’effetto di diversi innesti d’osso e sostituti d’osso sulla guarigione di siti estrattivi. Questo studio confronta inoltre la guarigione di alveoli estrattivi da 6 a 8 mesi dopo l’innesto di un vetro bioattivo (BG) o di un alloinnesto di osso demineralizzato, congelato, essiccato (DFDBA) con un alveolo di controllo non innestato (C). Metodi: Dopo l’estrazione, un totale di 30 alveoli in 19 pazienti furono divisi in modo casuale in 3 gruppi di terapia: 10 alveoli ricevettero BG, 10 alveoli DFDBA e 10 alveoli servirono da controlli non innestati C. Una chiusura primaria fu ottenuta mediante lembo spostato coronalmente su ogni alveolo. Da 6 a 8 mesi dopo l’estrazione, al momento dell’inserzione implantare, furono prelevate per l’istologia carote ossee dei siti trattati. Queste carote ossee furono trattate, preparate sezioni non decalcificate e colorate con blu di Stevenel e fucsina picrica di Von Gieson ed infine analizzate istologicamente. L’osso vitale, il tessuto connettivo, l’osso midollare e le particelle residue di innesto furono riportate con una percentuale della carota totale. Risultati: Un sistema campione venne descritto nell’uomo e usato per valutare la risposta della guarigione nei 3 gruppi di trattamento. I risultati conclusero che la media di osso vitale presente fu 59.5% per BG, 34.7% per DFDBA e 32.4% per C. Queste differenze non furono statisticamente significative. Tuttavia il materiale innestato residuo fu significativamente più alto nei siti DFDBA 13.5% versus BG 5.5%. Conclusioni: Sebbene in questo studio pilota le differenze percentuali di osso vitale non fossero statisticamente significative fra i 3 gruppi di trattamento, il materiale BG fu osservato fungere da materiale osteoconduttive che ebbe un effetto positivo sulla guarigione dell’alveolo a 6/8 mesi dall’estrazione. Ulteriore ricerca, dopo inserzione implantare in alveoli innestati e non, è consigliata per stabilire se l’osteointegrazione è aumentata in siti BG versus siti C.

19)JP 2002-1-pag. 39
“Aumento del pavimento del seno al momento dell’estrazione di molari mascellari: tassi di successo e fallimento di 137 impianti in funzione fino a 3 anni”

P. Fugazzotto

Premessa: La restaurazione mediante impianti nel mascellare posteriore pone una significativa sfida al clinico. Nello sforzo di aumentare l’altezza corono-apicale dell’osso disponibile per il posizionamento implantare, è stato suggerito un certo numero di approcci per l’aumento del seno mascellare. Questo articolo descrive una tecnica semplificata per un predicibile aumento del seno mascellare al momento dell’estrazione di molari. Metodi: Una fresa carotatrice (trephine) e una tecnica osteotomica vennero utilizzate per implodere l’osso interradicolare dopo estrazione di molari mascellari. Materiale particolato ed una membrana vennero quindi posizionati per massimizzare la rigenerazione di osso alveolare. Risultati: 167 impianti furono inseriti in successione in osso rigenerato seguendo la succitata tecnica. 137 di questi impianti furono protesizzati e rimasero in funzione fino a 3 anni al tempo della rilevazione statistica e 136 dei 137 funzionarono con successo secondo i criteri di Albrektcson con un tasso cumulativo di successo del 97.8%. Conclusioni: La tecnica presentata per simultaneo aumento d’osso al momento dell’estrazione molare, seguita da successiva inserzione implantare dopo maturazione dei tessuti rigenerati, dimostra un alto tasso di successo per una funzione fino a 3 anni. Studi a lungo termine potrebbero essere utili per valutare la continuità dell’efficacia di un tale approccio terapeutico.

20)JP 2002-2-pag. 153

“Fumo e complicazioni degli impianti dentale endossei”

D. Schwartz – Arad

Premessa: Lo scopo di questo studio fu di confrontare l’incidenza delle complicazioni e il tasso di sopravvivenza correlato agli impianti dentali tra fumatori e non, e di valutare l’influenza del fumo analizzando i dati di 959 impianti inseriti in 261 pazienti dal 1995 al 1998. Metodi: I pazienti furono divisi in tre gruppi: non fumatori, scarsi fumatori (fino a 10 sigarette al giorno) e forti fumatori (oltre le 10 al giorno); i fumatori furono inoltre divisi in due sottogruppi in accordo con la durata del fumo (+/- di 10 anni). Le complicazioni furono minori (spontanea scopertura dell’impianto), maggiori (spontanea esposizione dell’impianto che richiese intervento chirurgico) e fallimento implantare. L’influenza del fumo fu analizzata per tipo di vite di copertura implantare (piatta o alta) e per tipo di inserzione implantare (immediata o tardiva). Risultati: Il tasso complessivo di fallimenti fu del 2% per i non fumatori e del 4% per i fumatori. Complicazioni minori e maggiori si evidenziarono maggiormente nei forti fumatori (46%) rispetto agli scarsi fumatori (31%). Una incidenza significativamente maggiore di complicazioni si riscontrò tra i fumatori che ricevettero impianti con viti di copertura di tipo alto (63%) rispetto a quelle di tipo piatto (27%). Conclusioni: Questo studio stabilisce una relazione tra complicazioni implantari e fumo ed inoltre evidenzia come fattori significativi siano il tipo di impianto (esagono esterno-interno) e il tempo di inserzione. Una aumentata incidenza di complicazioni fu trovata nei forti fumatori specialmente in impianti con vite di copertura alta. La maggior parte delle complicanze portarono al fallimento implantare. Gli impianti immediati fallirono meno frequentemente dei tardivi. La riduzione o la cessazione del fumo diminuirebbe le complicanze intorno agli impianti dentali.

21)JP 2002-2-pag. 191
“Valutazione dei Polioli Pluronici come trasportatori per materiali di innesto: studio in difetti nella calvaria del topo”

E. Fowler

Premessa: I polioli pluronici sono una famiglia di surfattanti non-ionici correntemente usati come trasportatori di farmaci per antibiotici, antinfiammatori e antineoplastici. L’utilizzo terapeutico di agenti surfattanti non-ionici è conosciuto per facilitare la precoce sintesi del collagene e la microcircolazione e quindi per promuovere la guarigione della ferita. Scopo di questo studio fu di determinare l’effetto in vivo dei polioli pluronici combinati o ad un alloinnesto o ad uno innesto alloplastico, sulla guarigione di difetti di dimensioni critiche nella calvaria. Materiali: 150 maschi adulti (95/105 giorni) di topi Sprague-Dawley di peso tra 375 e 425g furono casualmente assegnati ad uno dei 15 gruppi di trattamento e anestetizzati e furono creati difetti di 8mm di diametro nella calvaria. Il pluronico F-68 (F-68) o pluronico F-127 (F-127) furono somministrati sia localmente che sistemicamente e insieme a polvere d’osso demineralizzato (DBP), fosfato tricalcico (TCP) o a controlli senza innesto. I polioli pluronici sono facilmente miscelati con il DBP o il TCP per migliorare la facilità di manipolazione. La calvaria fu prelevata a 12 settimane dopo la chirurgia e valutata istomorfologicamente con radiografie di contatto e seguente analisi densitometrica, con spectometria di energia utilizzando un microscopio elettronico a scansione e infine con microscopia a fluorescenza. Risultati: Vi fu una differenza significativa nella percentuale di riempimento osseo fra i controlli, il TCP e i soli gruppi DBP (P<0.05). L’unica differenza significativa all’interno di ognuno di questi gruppi fu tra TCP, i controlli e tra il TCP più l’F-127 sistemico (P<0.05). Conclusioni: Sebbene vi siano differenze isolate, l’andamento globale fu che i polioli pluronici e il modo di somministrazione non risultarono in un significativo cambiamento nella guarigione ossea misurata mediante la percentuale di riempimento osseo. I polioli pluronici possono essere considerati come trasportatori per materiali di innesto.

22)JP 2002-2-pag. 206
“L’influenza della somministrazione di nicotina su differenti superfici implantari: uno studio istometrico sui conigli”

C. Stefani

Premessa: Questo studio ricercò l’influenza della superficie implantare sull’osteointegrazione attorno ad impianti in titanio inseriti in tibie di conigli ai quali venne somministrata nicotina. Materiali: 32 conigli della Nuova Zelanda furono inclusi nello studio. Dopo l’anestesia, la superficie della tibia fu esposta e vennero inseriti bilateralmente due impianti a vite in titanio puro di 7mm di lunghezza e 3.75mm di diametro che erano disponibili in commercio. Un totale di 128 impianti furono inseriti: 64 sabbiati con particelle di Al2 O3 (gruppo 1) e 64 con superfici lisce tornite (gruppo 2). Gli animali furono assegnati casualmente ad uno dei quattro sottogruppi di trattamento e furono somministrati quotidianamente mediante iniezioni sottocutanee di: A) soluzione salina; B) nicotina 0.37mg/Kg; C) 0.57mg/kg; D) 0.93mg/kg. Allo scopo di marcare l’osso rigenerato, una soluzione al 2% di calceina verde fu somministrata mediante iniezione intramuscolo ai giorni 0, 7 e 15 dall’inserzione implantare. Dopo 42 giorni, gli animali furono sacrificati e furono preparate delle sezioni non decalcificate. Il grado di contatto osseo con la superficie implantare, l’area ossea e la densità della marcatura furono misurate all’interno dei limiti delle spire implantari. Risultati: L’analisi statistica (ANOVA a due vie) non rivelò alcuna differenza significativa riguardo l’effetto della nicotina sulla guarigione ossea attorno agli impianti (P>0.05). Tuttavia un’influenza significativa della superficie implantare sul grado di contatto osso-impianto, fu notata nei gruppi C (30.13 +/- 4.97 e 37.85 +/- 8.85 per superfici tornite lisce e sabbiate con Al2 O3) e D (27.79 +/- 3.93 e 33.13 +/- 8.87 per superfici lisce e sabbiate con Al2 O3) (P<0.05). Conclusioni: Anche se la somministrazione di nicotina non può influenzare statisticamente la guarigione ossea attorno agli impianti, il tipo di superficie può favorire l’osteointegrazione dopo somministrazione di nicotina.

23)JP 2002-3-pag 266
“Analisi istomorfometrica di formazione ossea dopo aumento del pavimento del seno mascellare innestando una combinazione di osso autologo e osso demineralizzato, congelato ed essiccato o idrossiapatite”

R. Boeck – Neto

Premessa: Le procedure di aumento del pavimento del seno mascellare, sono correntemente il trattamento di scelta quando la cresta alveolare della mascella posteriore è insufficiente per l’ancoraggio di impianti dentali. Questa procedura ha lo scopo di ottenere sufficiente osso con l’associazione di biomateriali all’osso autologo per creare volume e permettere l’osteoconduzione. L’obiettivo di questo studio fu di valutare istologicamente e istomorfologicamente l’osso formato in seguito ad aumento del pavimento del seno mascellare innestando una combinazione di osso autologo prelevato dalla sinfisi mentoniera e DFDBA o idrossiapatite. Metodi: 10 biopsie furono prelevate da 10 pazienti 10 mesi dopo aumento del pavimento del seno mascellare utilizzando una combinazione di 50% di osso autologo e 50% di osso demineralizzato, congelato ed essiccato (gruppo DFDBA) o 50% di osso autologo e 50% di idrossiapatite (gruppo HA). Furono effettuate le procedure istologiche di routine e si utilizzarono colorazioni con ematossilina-eosina e tricromica di Masson. Risultati: L’analisi istomorfometrica indicò buoni risultati di rigenerazione in entrambi i gruppi per le medie di tessuto osseo nell’area innestata (50.46 +/- 16.29 % per il gruppo DFDBA e 46.79 +/- 8.56 % per il gruppo HA). La valutazione istologica rivelò la presenza di osso maturo con aree compatte e trabecolari in entrambi i gruppi. L’infiltrato infiammatorio fu in media non significativo e in prevalenza costituito di cellule mononucleari. Qualche biopsia mostrò blocchi di biomateriale in spazi midollari a contatto con la parete ossea, con assenza di attività osteogenica. Conclusioni: I risultati indicarono che sia innesti di DFDBA che di HA, in associazione con osso autologo, furono biocompatibili e promossero l’osteoconduzione, fungendo da matrici per la formazione ossea. Tuttavia, entrambi i materiali furono ancora presenti a 10 mesi dall’innesto.

24)JP 2002-3-pag. 271
“Distrazione osteogenetica e istogenesi nei cani beagle: l’effetto di una graduale osteodistrazione sull’osso e sulla gengiva”

J. Cope

Premessa: Nessuno studio ha ancora valutato sistematicamente l’effetto della distrazione osteogenetica sui tessuti gengivali. Quindi questo studio fu disegnato per analizzare l’osso neoformato e la gengiva durante il periodo di consolidamento di osteodistrazioni mandibolari, utilizzando tecniche istologiche standardizzate. Metodi: 17 maschi di cani beagle scheletricamente maturi furono sottoposti ad un allungamento bilaterale interdentale mandibolare di 10mm. Dopo la distrazione, i siti furono lasciati consolidarsi per 0, 2, 4, 6 o 8 settimane, quindi gli animali furono sacrificati e i tessuti prelevati per l’analisi. Risultati: La mineralizzazione iniziò ai margini ossei alla fine della fase di distrazione seguita da un progressivo aumento in area di superficie ossea, con una concomitante diminuzione in tessuto fibroso. La gengiva inizialmente presentò una leggera infiammazione e cambiamenti reattivi durante la distrazione e le prime settimane di consolidamento. Il tasso di formazione osseo aumentò gradualmente dalla fine della distrazione alla quarta settimana di consolidamento; a quel punto esso rimase costante fino a poco prima della ottava settimana allorquando si assottigliò leggermente non appena iniziò il rimodellamento. Dalla seconda alla ottava settimana di consolidamento si evidenziarono dei cambiamenti e delle neo-istogenesi nei tessuti gengivali. Conclusioni: L’osteodistrazione ha il potenziale di diminuire drasticamente il tempo totale di trattamento per l’aumento di osso alveolare prima dell’inserzione implantare, poiché l’osso rigenerato mineralizza rapidamente in 8/10 settimane dopo il periodo di distrazione e la gengiva risponde favorevolmente all’aumento di lunghezza mediante rigenerazione piuttostoché con degenerazione. Sebbene i risultati appaiano favorevoli, essi devono essere valutati in studi clinici su umani.

25)JP 2002-3-pag. 302
“Un metodo per valutare il risultato clinico di procedure di aumento di cresta”

P. Proussaefs

Premessa: Le procedure di aumento di cresta alveolare sono spesso necessarie prima dell’inserzione implantare e di una riabilitazione protesica. Lo scopo di questo studio fu di sviluppare un metodo quantitativo per valutare il risultato clinico di tali procedure. Metodi: Due metodi volumetrici, basati sulla differenza di volume tra la cresta pre e post-operatoria, vennero sviluppati. Sia una dima di materiale trasparente ottenuto sottovuoto (metodo A) sia un’impronta in silicone su un portaimpronta in acrilico fatto su misura (metodo B) vennero utilizzati per ottenere un’impronta del modello in gesso post-operatorio. Questa impronta venne poi riempita di materiale da registrazione occlusale in silicone (PBRM) e posizionato sul modello pre-operatorio. Il volume di PBRM nel sito di aumento di cresta (corrispondente all’aumento di volume di cresta ottenuto in ml) fu misurato gravimetricamente. Due esaminatori indipendenti utilizzarono entrambi i metodi, in sequenza casuale, per valutare il risultato di 6 differenti casi clinici. Furono rilevate misurazioni triple (metodo di precisione). Un metodo di accuratezza fu valutato mediante fabbricazione di colate metalliche (volumi noti) applicati ad un modello pre-operatorio per simulare una procedura di aumento. Risultati: La riproducibilità intra ed inter-esaminatore fu alta (coefficiente di correlazione interclasse >= 0.84) per entrambi i metodi. Le misurazioni volumetriche ottenute col metodo B, mostrò una eccellente correlazione con i volumi predeterminati di aumento (r2= 0.99; y= 0.94x +0.12), in contrasto con le misurazioni ottenute col metodo A (r2= 0.46; y= 0.43x + 1.37 ). Conclusioni: Il metodo volumetrico sviluppato (B) è sia preciso che accurato nel valutare il risultato degli aumenti di cresta. Questo metodo semplice, economico, facile da eseguire, dovrebbe essere di aiuto in studi clinici su procedure di aumento di cresta.

26)JP 2002-3-pag. 322
“Le cause dell’iniziale perdita ossea implantare: mito o scienza?”

T. Ju Oh

Il successo degli impianti è grandemente dipendente dall’integrazione tra impianto e tessuti intraorale duri e molli. L’iniziale perdita di interfaccia impianto-tessuto, di solito inizia nella regione crestale di impianti ben osteointegrati, indipendentemente dalla tecnica di inserzione (sommersa o non). L’iniziale perdita di osso crestale si osserva spesso dopo il primo anno di carico, seguita poi da una minima perdita ossea annuale (<=0.2mm). Vengono ipotizzati 6 fattori eziologici plausibili, comprendenti: il trauma chirurgico, il sovraccarico occlusale, una periimplantite, la microfessura, l’ampiezza biologica e il modulo di cresta dell’impianto. Lo scopo di questo articolo è la revisione della letteratura correntemente disponibile e la discussione di ogni singolo fattore. Sulla base della letteratura, il ripristino dell’ampiezza biologica attorno all’impianto, la microfessura se posizionata alla o sotto la cresta ossea, il sovraccarico occlusale e il modulo di cresta dell’impianto, possono essere le cause più probabili della precoce perdita ossea crestale attorno all’impianto. Inoltre è importante notare che altri fattori concomitanti, come il trauma chirurgico e la periimplantite, possono anche giocare un ruolo nella precoce perdita ossea implantare. Sono necessari futuri studi clinici ben controllati e randomizzati per chiarire le cause della precoce perdita ossea crestale degli impianti.

Il Dottor Mauro FERRI BORGOGNO ha revisionato 53 articoli, argomento impianti, apparsi dal Dicembre 2001 ad oggi sulle più prestigiose riviste internazionali, traducendone i relativi abstracts.


1)JOMI (Inter. Journal Oral Maxillo-facial implants) 2001;16:783-792
“Valutazione di ricerche randomizzate controllate riguardo agli impianti orali”
(Marco Esposito et al.
)
Lo scopo di questo studio fu di valutare la qualità di ricerche randomizzate controllate (RCTs) riguardo all’efficacia degli impianti orali e creare un archivio di studi. Una strategia di ricerca multistratificata fu usata per identificare tutte le RCTs pubblicate dalla fine del 1999 in tutte le lingue. Si ricercò nell’Archivio del Gruppo Cochrane specializzato nella Salute Orale, nel PubMed e in biblioteche private. Si identificarono 74 RCTs. Settantatre articoli, che non contenevano lo stesso gruppo di pazienti, furono indipendentemente valutati da tre ricercatori utilizzando un sistema appositamente studiato. Uno specialista in statistiche analizzò tutti gli studi riguardo all’adeguatezza delle statistiche. La qualità di ogni studio fu valutata riguardo a 7 dati, includendo tre settori chiave. Le procedure di randomizzazione e di occultamento non furono descritte in 30 articoli (70%). In dieci studi non furono dichiarati i motivi dei ritiri (23%). In 31 studi non fu riportato alcun tentativo di oscuramento (72%). La qualità delle RCTs riguardo agli impianti orali è generalmente scarsa e necessita di essere migliorata.

2)JOMI 2001;16:793
“Ritenzione di cementi dentali utilizzati con componenti implantari metalliche”
(Rachel Squier et al.)
Esiste poca letteratura che valuti le possibilità ritentive dei cementi, quando usati tra componenti metalliche come fusioni protesiche metalliche cementate su componenti implantari metalliche. Questo studio comparò la forza ritentiva di 5 differenti classi di agenti cementanti utilizzati per unire corone di lega nobile a pilastri implantari del commercio con conicità di 8 gradi del Sistema Implantare ITI Strauman. Furono utilizzati 60 pilastri implantari prefabbricati e altrettanti impianti; trenta ricevettero una superficie standard e altri trenta una superficie anodizzata. Si utilizzarono componenti implantari anodizzate per conformarsi agli attuali orientamenti del mercato. Sessanta fusioni furono allestite ed accoppiate casualmente con un pilastro e un impianto. Dodici fusioni furono cementate sul complesso pilastro-impianto per ognuno dei 5 differenti tipi di cemento (ossifosfato di zinco, resina composita, vetroionomero, vetroionomero rinforzato e ossido di zinco senza eugenolo). Dopo la cementazione, gli assemblaggi furono stoccati per 24h in un umidificatore prima di essere termociclati. Ogni fusione fu scementata dal suo pilastro e la forza ritentiva fu misurata. Una differenza statisticamente significativa fu rinvenuta tra i 5 cementi a P(=.001). Tra i cementi utilizzati, le resine composite dimostrarono le maggiori medie di forza ritentiva. L’ossifosfato di zinco e il vetroionomero rinforzato si posizionarono al secondo posto, mentre il vetroionomero e l’ossido di zinco senza eugenolo dimostrarono una forza ritentiva minima. In aggiunta la ritenzione non fu influenzata dall’utilizzo di pilastri con superficie anodizzata.

3)JOMI 2001;16:827
“Ricerca su 131 impianti larghi a Vite-Forata posizionati consecutivamente”
(P. Khayat et al.)
T
ra il febbraio 1995 e il maggio 1996, 71 pazienti ricevettero un trattamento che comprendeva uno o più impianti larghi a Vite-Forata ( Paragon). Un totale di 131 impianti furono posizionati. Tutti i pazienti furono richiamati un anno dopo il carico. Sette pazienti (14 impianti ) furono persi al richiamo. Sei impianti furono rimossi prima del termine del trattamento protesico. Furono riesaminati al richiamo 111 impianti. Quasi tutti gli impianti (109) sostennero una protesi fissa; nella maggior parte dei pazienti si trattò di una protesi parziale fissa. Il tempo di carico fu mediamente di 17 mesi (da 11 a 21). Nessuno degli impianti fu perso durante questo periodo. Il tasso complessivo di sopravvivenza fu del 95%. Per gli impianti mandibolari fu del 94% mentre per quelli mascellari fu del 96%. Queste differenze non furono statisticamente significative. Il rimodellamento dell’osso crestale fu esaminato utilizzando radiografie periapicali. Dopo 17 mesi di funzione, solo 3 impianti (2.5%) presentarono una perdita ossea al di là della prima spira.

4)JOMI 2001;16:833
“Valutazione della risposta della membrana del seno mascellare in seguito a sollevamento mediante la tecnica dell’ osteotomia crestale nel cadavere umano.”
(G.Reiser et al.)
I
l posizionamento di impianti nelle parti posteriori della mascella spesso richiede il sollevamento della membrana del pavimento del seno mascellare, che può essere ottenuta mediante la tecnica modificata di Caldwell-Luc o quella dell’osteotomia crestale. Gli obbiettivi di questo studio furono di studiare (a) la resistenza in vitro alla perforazione di membrane schnaideriane ottenute su cadavere umano fissato in formaldeide, (b) la frequenza e l’estensione delle perforazioni delle membrane in seguito a sollevamenti utilizzando un approccio crestale, e (c) la quantità di sollevamento ottenibile con l’approccio crestale. Il pretrattamento delle menbrane con gli usuali ammorbidenti tissutali non ebbe un effetto statisticamente significativo sulla resistenza alla perforazione. Le membrane furono sollevate dai 4 agli 8 mm con la tecnica osteotomica e gli impianti furono posizionati. Dei 25 siti che ricevettero impianti, solo 6 mostrarono delle perforazioni, come evidenziato da ispezione in doppio-cieco dopo dissezione della parete laterale del naso, che permise l’esame diretto della cavità sinusale. Le perforazioni furono divise in categorie come Classe I (= 2mm con esposizione dell’impianto nella cavità sinusale e perdita dell’effetto cupola); Classe II (= 2mm) e quindi associate o alla vicinanza tra il sito dell’osteotomia e la parete mediale del seno o alla presenza di setti. Questi risultati indicarono che la tecnica dell’osteotomia si compara favorevolmente alla tecnica di Caldwell-Luc per quanto concerne la frequenza di perforazione della membrana e per il grado ottenibile del suo sollevamento.

5)JOMI 2001;16:851
“Periostioplastica per l’aumento e la chiusura dei tessuti molli in chirurgia preprotesica: una relazione chirurgica.”
(A.Triaca et al.)
La chiusura dei tessuti molli è un fattore critico in chirurgia preprotesica e nell’inserzione di impianti. Negli aumenti orizzontali e verticali di osso, si presenta spesso una mucosa scarsa e sottile. Ne possono risultare deiscenze del tessuto molle ed esposizioni di osso o dell’impianto. Sulla base dell’utilizzo di un lembo periostale, il metodo presentato risolve questo problema. Il lembo viene preparato nella zona confinante e ripiegato sulla corrispondente area chirurgica. Esso non risulta solo in una adeguata copertura del sito, ma anche in un aumento dei tessuti molli. La periostioplastica è stata applicata con successo in oltre 60 pazienti per oltre 2 anni.

6)JOMI 2001;16:857
“Valutazione clinica di una membrana di collagene a doppio strato (Bio-Gide), sostenuta da innesto di osso autologo, nel trattamento dei difetti ossei attorno agli impianti”
(G. Tawill et al.)
Lo scopo di questo studio fu di determinare l’efficacia di una membrana di collagene riassorbibile (Bio-Gide) in combinazione con innesti di osso autologo, nel trattamento dei difetti periimplantari, fenestrazioni, o limitati difetti verticali. Diciotto impianti dentali in titanio con spire esposte, furono studiati in 17 pazienti. Osso autologo fu utilizzato in tutti i casi per riempire il difetto e mantenere lo spazio sotto la membrana. Per coprire il difetto, la membrana fu ritagliata e adattata a forma di sella. La membrana assorbì il sangue e facilmente coprì ed aderì al sottostante osso. Non fu stabilizzata mediante alcun mezzo. Da 16 a 32 mesi post-intervento, i siti furono riaperti e fu misurata la quantità di osso rigenerata. I risultati mostrarono un significativo aumento di osso (in media 87.6%) nel trattamento dei difetti periimplantari mediante Bio-Gide e osso autogeno.

7)COIR (Clinical Oral Implants Reserch) 2001;12:543
“Formazione di placca su superfici modificate degli impianti dentali”
(B. Grosner-Scrheiber et al.)
L’adesione batterica sulle superfici degli impianti in titanio ha una forte influenza sulla loro guarigione e durata. Parametri come la ruvidità di superficie e composizione chimica della superficie implantare dimostrarono di avere un impatto significativo sulla formazione di placca. Lo scopo di questo studio fu di valutare l’influenza sull’adesione batterica di due rivestimenti confrontati con superfici di controllo di uguale ruvidità. Due membri della microflora orale, Streptococcus mutans e sanguis furono utilizzati. Dischi di titanio commercialmente puro furono modificati utilizzando 4 differenti trattamenti: deposizione fisica di vapore (PVD) con nitruro di titanio o di zirconio, ossidazione termica ed irradiazione strutturale mediante laser. Superfici lucidate di titanio servirono come controllo. La topografia della superficie fu esaminata mediante SEM e la valutazione della ruvidità fu eseguita con profilometro di contatto a stilo. Furono eseguite misurazioni dell’angolo di contatto per calcolare l’energia di superficie. I dischi di titanio furono incubati nelle rispettive celle di sospensione batterica per un ora e le singole colonie batteriche formatesi furono contate per mezzo di un microscopio a fluorescenza. Le misurazioni dell’angolo di contatto non mostrarono differenze significative tra le varie superfici. La ruvidità di superficie (Ra) di tutte quelle esaminate fu tra 0.14 e 1.00 microns. Una significativa riduzione del numero dei batteri aderenti fu osservato sui materiali di titanio duro internamente stabili come il TiN e lo ZrN e le superfici di titanio ossidate termicamente comparate a quelle solo lucidate. In conclusione, modifiche fisiche della superficie di impianti di titanio come rivestimenti di TiN e ZrN possono ridurre l’adesione batterica e quindi migliorare il risultato clinico.

8)COIR 2001;12:552
“Reazioni dell’osso adiacente ad impianti di titanio sottoposti a carico statico di diversa durata. Uno studio nel cane (III).”
( K. Gotfredsen et al.)
Lo scopo del presente esperimento fu di studiare l’effetto di un carico statico laterale di lunga durata sull’osso periimplantare. Tre cani beagle furono utilizzati. I premolari mandibolari furono estratti e 12 settimane dopo, tre impianti di titanio (ITI Dental Implant System) furono inseriti in ciascun quadrante. Delle corone protesiche furono inserite su tutti gli impianti 12 settimane dopo l’inserimento impiantare. Le corone anteriori e centrali furono solidarizzate e connesse con quella posteriore mediante una vite di espansione. Nel lato di destra la vite fu attivata ogni 2 settimane per un periodo di 46 settimane. Durante le ultime 10 settimane, una forza espansiva uguale alla destra fu applicata al lato sinistro. Gli animali furono sacrificati e si ricavarono sezioni in blocco che furono preparate per l’analisi istologica. I siti che furono sottoposti a 10 o 46 settimane di uguale carico laterale mostrarono una simile (i) distribuzione dei marcatori ossei (ii) proporzione della densità ossea (iii) grado di contatto osso-impianto. La proporzione di fluorocromi fu più alta nei siti di carico per 10 settimane di quelli soggetti a carico per 46 settimane

9)COIR 2001;12:572
“Carico precoce di impianti sabbiati e mordenzati (SLA): uno studio prospettico di comparazione tra due metà della bocca. Risultati ad un anno.”
(M. Roccuzzo et al.)
Gli impianti sabbiati e mordenzati sono stati recentemente introdotti per ridurre il periodo di guarigione tra la chirurgia e la protesi. In questo studio con bocca divisa a metà, impianti SLA furono comparati con impianti spruzzati di plasma di titanio (TPS) in condizioni di carico,un anno dopo l’inserzione, in 32 pazienti sani, che presentavano siti edentuli comparabili e senza discrepanze della dentatura antagonista. La procedura chirurgica fu eseguita dallo stesso operatore e fu identica per 68 siti SLA (test) e 68 siti TPS (controlli). Non fu mai eseguita la maschiatura e la stabilità primaria fu sempre ottenuta. La connessione dei pilastri fu effettuata a 32 N/cm 6 settimane dopo l’intervento per i lati test e 12 settimane per i lati controllo, dallo stesso dentista accecato per il tipo di superficie implantare. In 4 dei 68 siti test l’impianto ruotò leggermente, i pazienti riferirono leggera dolenzia e la connessione non fu completata. Fu allestita una protesi provvisoria ed un nuovo avvitamento fu effettuato dopo altre 6 settimane. Protesi metal-ceramiche simili furono cementate sullo stesso tipo di pilastri solidi, su entrambi i lati. Nessun impianto fu perso. Misurazioni cliniche e variazioni radiografiche furono registrate dallo stesso operatore, accecato per il tipo di superficie implantare, un anno dopo la chirurgia. Nessuna differenza significativa fu rinvenuta in relazione a: presenza di placca (24% vs. 27%), sanguinamento al sondaggio (24% vs. 31%), profondità di sondaggio (3.3mm vs. 2.9) o media di perdita ossea (0.65 mm vs. 0.77 mm). I risultati suggeriscono che gli impianti SLA sono adeguati per il carico precoce a 6 settimane. Una limitata rotazione dell’impianto può manifestarsi occasionalmente, ma se appropriatamente trattata, non determina alcun effetto negativo sul risultato clinico.

10)COIR 2001;12:595
“Riosseointegrazione dopo trattamento della periimplantite su diverse superfici implantari”
(L. Persson et al)
La perimplantite è una condizione patologica che determina infiammazione dei tessuti molli e a rapida perdita ossea. Il trattamento della periimplantite prevede, sia procedure antimicrobiche che di aumento. La questione se vi possa essere riosseointegrazione in seguito a trattamento della periimplantite è controversa. Lo scopo di questo studio fu di determinare se il tipo di superficie fosse importante per l’ottenimento dell’osteintegrazione in seguito a trattamento della periimplantite. Vennero utilizzati quattro cani beagle. I premolari mandibolari furono estratti. Dopo dodici mesi, tre impianti a vite piena furono inseriti in ciascun lato mandibolare. Nel lato sinistro vennero usati impianti con superficie liscia tornita (siti torniti), mentre dal lato destro furono posizionati impianti con superficie sabbiata e mordenzata (SLA). Dopo tre mesi di guarigione, fu indotta una periimplantite mediante legature e accumulo di placca. Quando circa il 50% dell’osso di supporto fu perso, le legature vennero rimosse. Cinque settimane dopo, si iniziò il trattamento. Ogni animale ricevette compresse di Amoxicillina e Metronidazolo per 17 giorni. Tre giorni dopo l’inizio della terapia, un sito impiantare (sito test) in ogni quadrante fu esposto alla terapia locale. Dopo scollamento di un lembo, la superficie di titanio venne detersa mediante batuffoli di cotone imbevuti di soluzione fisiologica. Gli impianti vennero sommersi. Sei mesi più tardi, si ottennero delle biopsie. La terapia risultò nel 72% di riempimento osseo del difetto nei siti torniti e nell’84% in quelli SLA. Una terapia che incluse (i) somministrazione sistemica di antibiotici congiunta a (ii) rimozione del tessuto di granulazione e detersione della superficie implantare, determinò la risoluzione della periimplantite e riempimento dei difetti ossei. Inoltre, mentre si ottenne una sostanziale riosseointegrazione su superfici SLA, la crescita ossea su una superficie liscia (tornita) precedentemente esposta, fu minima.

11)COIR 2001;12:604
“Densità di mineralizzazione nell’osso della mandibola di conigli ovariectomizzati”
(T. Cao et al)
Lo scopo di questo studio fu di valutare l’associazione tra perdita della funzione ovarica (situazione di menopausa) e la variazione di densità di mineralizzazione ossea in conigli ovariectomizzati usando una tomografia computerizzata periferica quantitativa. Ventiquattro femmine di coniglio giapponesi bianche adulte, furono utilizzate per l’esperimento. Gli incisivi mandibolari furono inizialmente estratti per creare siti implantari. Dodici animali furono ovariectomizzati bilateralmente e gli alti dodici falsamente ovariectomizzati dopo l’estrazione. Tutti i conigli furono sacrificati a quattro e dodici settimane dopo le ovariectomie, con sei conigli in ciascuno dei quattro gruppi risultanti, le zone edentule distali della mandibola vennero misurate con TAC periferica quantitativa. Vi furono significativi aumenti nella densità di mineralizzazione totale dell’osso e di quello trasecolare nelle mandibole di coniglio a dodici settimane dopo ovariectomia. I risultati dimostrano la diminuzione di mineralizzazione in mandibole di conigli ovariectomizzati.

12)COIR 2001;12:609
“Il fattore beta1 di trasformazione della crescita, incorporato nel cemento al fosfato di calcio, stimola l’osteotrasduttività in difetti dell’osso craniale del topo”
(E. Blom et al)
La rigenerazione dell’osso alveolare crestale attorno ad impianti dentali è un fattore importante nel successo del loro utilizzo. Il fosfato di calcio può essere usato come sostituto d’osso e applicato clinicamente come una pasta per riempire micro e macro difetti ossei. Noi in precedenza dimostrammo che la miscelazione del ricombinante umano del fattore beta1 di trasformazione della crescita (rh TGF – beta1) nel cemento di fosfato di calcio mentre si sta indurendo, stimolò in vitro la differenziazione osteoblastica di cellule progenitrici ossee del ratto. Lo scopo del presente studio fu di esaminare una simile aggiunta di rh TGF – beta1 determini la sostituzione del cemento al fosfato di calcio con osso (osteotrasduzione) in difetti critici del cranio di topi adulti. Due difetti ossei di 5mm di diametro vennero creati bilateralmente in ogni cranio di 10 topi maschi adulti. Entrambi i difetti furono riempiti da un lato con 53mg di cemento di fosfato di calcio senza rh TGF – beta1 (lato controllo) e dall’altro con 10-20ng di rh TGF – beta1 (lato test). Dopo otto settimane, i difetti con il circostante cranio, vennero analizzati istologicamente e istomorfologicamente. L’aggiunta di rh TGF – beta 1 al cemento aumenta la quantità di osso nei difetti craniali nel topo. Questi risultati coincidono con la nostra osservazione in vitro, in cui il mescolare rh TGF – beta1 con cemento al fosfato di calcio stimola la differenziazione in cellule ossee. L’aggiunta di rh TGF –beta 1 stimolò la formazione ossea come indicato da un aumento di volume osseo del 50% e un contatto osso-cemento al fosfato di calcio del 65%, al confronto dei lati controllo senza rh TGF – beta1. Inoltre quest’ultimo ridusse il rimanente volume di cemento dell’11% a 10ng e del 20% a 20ng. La chiusura del difetto non fu influenzata. Noi concludiamo che mescolare rh TGF – beta1 con un cemento a presa rapida a fosfato di calcio, stimoli la crescita ossea e l’osteotrasduzione del cemento. Per le procedure di rigenerazione intorno ad impianti endossei, il cemento al fosfato di calcio con aggiunta di rh TGF – beta1 può essere un valido accoppiamento per una precoce osteointegrazione ed utilizzo impiantare.

13)COIR 2001;12:617
“Scelta dell’attacco per overdenture e carico dell’impianto e della superficie di appoggio della protesi mobile totale. Parte I: verifica in vivo di un modello stereolitografico.”
(M. Heckermann et al)
Preliminarmente ad uno studio che investighi la forza trasferita da impianti osteointegrati al circostante osso, attraverso vari tipi di attacchi per overdenture, fu costruito un modello stereolitografico (modello SL) e confrontato con una situazione in vivo per confermare la validità del modello per le misurazione pianificate della sollecitazione implantare e del carico della superficie di appoggio della dentiera. Il modello SL fu allestito utilizzando i dati TAC del paziente e duplicati in un materiale di proprietà elastiche conosciute. Il modello fu allestito con sensori per misurare le sollecitazione nell’osso periimplantare e le forze di carico sull’osso mandibolare posteriore, per esempio l’area di appoggio di una dentiera. Speciali pilastri telescopici furono prodotti per misurare la sollecitazione implantare in questo modello ed in vivo. Utilizzando questi pilastri sotto condizioni identiche di overdenture, le sollecitazione misurate sugli impianti in vivo e in vitro furono gli stessi e non superarono mai la tolleranza di due deviazioni standard o una media di differenza di –8.5% del valore in vivo. Anzi, fu sviluppato e testato un metodo (più del 90% di precisione) per estrapolare in vivo dati sul carico sotto dentiera della lettura delle sollecitazioni sugli impianti. Questi dati estrapolati in vivo furono così confrontati con quelli in vitro sotto identiche condizioni di carico. Il risultato indicò che il modello SL è efficace per la misurazione del carico sotto dentiera con un errore del 10-20%.

14)COIR 2001;12:624
“Impianti corti per epitesi utilizzati come ancoraggio ortodontico nella regione paramediana del palato. Uno studio clinico.”
(T. Bernhart et al)
Il movimento ortodontico dei denti spesso richiede il massimo ancoraggio, in modo da fornire la massima resistenza ai denti per evitare effetti reciproci di azione – reazione. Quindi l’uso di impianti endossei può essere una valida alternativa per ottenere un buon ancoraggio intraorale. Questo studio fu disegnato per valutare l’efficacia di impianti corti per epitesi, utilizzati come ancoraggio ortodontico nella regione paramediana del palato. 21 pazienti (15 femmine, 6 maschi; età media 25.8+/- 9.9 anni, minima 12.7 e massima 48.1) furono utilizzati in questo studio. Dopo un’adeguata pianificazione preoperativa, un sistema implantare di lunghezza ridotta che era già stato utilizzato come ancoraggio di epitesi, fu posizionato nella regione paramediana, evitando la struttura palatina. Dopo un periodo di 4 mesi di guarigione indisturbata, gli impianti furono sottoposti a forze ortodontiche dirette e indirette. Nonostante la presenza di varie qualità e quantità ossee in questa regione, un’adeguata stabilità primaria fu ottenuta per tutti gli impianti. Nessun impianto fu perso durante il periodo di guarigione. Tre dei 21 impianti vennero considerati dei fallimenti. Due si allentarono subito dopo l’inizio del trattamento ortodontico, uno di questi fu perso in uno stadio più tardivo per perimplantite, mentre l’altro fu lasciato in siti durante i nove mesi di controllo, perché non si sviluppò alcuna infiammazione ed è ancora indirettamente incluso nel trattamento ortodontico. La terza perdita implantare fu osservata dopo 8.5 mesi dopo carico diretto di 8N. Questo impianto fu anche perso per perimplantite. La probabilità di sopravvivenza legata al tempo, fu dell’84.8% dopo 22.9 mesi. Ad oggi 4 impianti sono stati rimossi per completamento del trattamento ortodontico. I risultati di questo studio indicarono che impianti corti per epitesi sono validi per ottenere il massimo ancoraggio nella regione paramediana del palato in caso di trattamento ortodontico.

15)COIR 2001;12:632
“Studio prospettico randomizzato che compara due tecniche di aumento d’osso: innesti a ricoprimento (onlay) da solo o in associazione con una membrana”
(H. Antoun et al)
In precedenza sono state descritte di aumento di cresta utilizzando un innesto di osso a ricoprimento (onlay) da solo o in associazione con una membrana non riassorbibile. Questo studio prospettico, randomizzato, mise in comparazione queste due tecniche a sei mesi, in termini di aumento d’osso, riassorbimento e qualità in siti edentuli. Misurazioni ossee vennero rilevate utilizzando mascherine, calibri e TAC. In un sito si verificò un’esposizione di membrana quattro settimane dopo il posizionamento. Impianti endossei furono successivamente inseriti in tutti i siti innestati. La media di spessore dell’innesto per tutti i soggetti, fu 4.7mm (tra 2.3 e 6.2 mm). La media complessiva del riassorbimeto fu 1.5mm (tra 0 e 4.6mm); quindi la media totale dell’aumento fu 3.2mm (tra 0.8 e 6.2 mm). Sei mesi dopo la chirurgia il gruppo con membrana mostrò significativamente meno riassorbimento osseo del gruppo con innesto da solo (P<0.01). L’ampiezza dell’aumento non differì significativamente tra i due gruppi. In conclusione, combinando con una membrana con un innesto a ricoprimento (onlay) dimostrò meno riassorbimento osseo con un minimo rischio di complicazioni. E’ necessario un controllo a maggior distanza di tempo per confermare i benefici dell’utilizzo di una membrana non riassorbibile.




16)COIR 2001;12:640
“Selezione di attacchi per overdenture e carico dell’impianto e dell’area sottostante una dentiera. Parte II: uno studio metodico utilizzando cinque tipi di attacchi”
(S. Heckermann et al)
In generale un impianto viene caricato da forze assiali e orizzontali. Al di là di ciò un carico eccessivo può verificarsi. Lo scopo di questo studio fu di investigare come diversi connettori protesici per overdentures sviluppano trasferimenti di forze all’impianto e all’osso così come alle selle sottostanti la dentiera. Cinque connettori furono studiati su un modello stereolitografico secondo una situazione reale di un paziente. Al modello si attaccarono lettori di sollecitazione in corrispondenza dell’osso distale e mesiale agli impianti e trasduttori di forze nell’osso alveolare sotto la dentiera. Il connettore telescopico rigido e parallelo sviluppò la massima sollecitazione sull’impianto (P<0.001), il che suggerisce di evitare tale connettore. Il connettore a barra mostrò anch’esso qualche forte sollecitazione, che possono essere state almeno parzialmente determinate da una situazione individuale del paziente. I carichi determinati dai connettori telescopici non – rigidi, dagli attacchi sferici singoli e dai magneti, dimostrarono una bassa sollecitazione sull’impianto che in parte proviene dalle forze orizzontali causate dallo sbandieramento della dentiera durante l’applicazione delle forze. Il carico sull’area sottostante la dentiera fu differente in tutti gli attacchi (P<0.001), fu in relazione della rigidità del connettore e raggiunse i valori maggiori con quello telescopico non–rigido. Vengono discusse le implicazioni cliniche dei vari risultati.

17)COIR 2001;12:579
“Una valutazione meta–analitica e quantitativa dell’ottenimento e dell’evoluzione dell’osteointegrazione di impianti endossei in titano sommersi e non – sommersi”
(L. Botoli et al)
Due metodiche di inserzione impiantare vengono utilizzate in implantologia: sommersa (S, in due fasi chirurgiche) e non–sommersa (NS, in una fase chirurgica). Tuttavia, una valutazione quantitativa della loro influenza sull’osteointegrazione dell’impianto, sommando l’intera attuale conoscenza, non è direttamente possibile, a causa della mancanza di standardizzazione dei risultati pubblicati. Per superare questa difficoltà, sono stati applicati dei criteri di selezione, in un processo di meta–analisi della letteratura specializzata, in modo da ricavare un trattamento associato ad un adeguato metodo statistico. Vengono approntate tabelle di sopravvivenza (fino a 15 e 10 anni rispettivamente per impianti S e NS inseriti in condizioni normali) per campioni numerosi (13049 impianti S e 5515 SN). Tassi di fallimento precoce (prima del carico) e valutazioni dei livelli di confidenza al 95% dei tassi di sopravvivenza cumulativi, vengono mostrati. Per entrambe le categorie, la qualità della fase di inserzione rimane critica per ottenere un comportamento ideale dell’osteointegrazione. Entrambe le categorie sono in correlazione con le correnti richieste di sopravvivenza ma con una certa differenza nel comportamento col passare del tempo. Gli impianti NS, mentre inizialmente si osteointegrano meglio, sono soggetti a cause di perdita di osteointegrazione, che persiste per un lungo periodo di tempo. Le caratteristiche del disegno impiantare (compreso il tipo di superficie) sembrano essere più importanti della procedura di inserzione, se si considera il comportamento dell’impianto. Ciò è in accordo con recenti risultati istologici e clinici preliminari, e dovrebbero essere confermati da ulteriori studi.




18)COIR 2001;12:589
“Salute periimplantare intorno ad impianti a vite, torniti (machined) di titanio commercialmente puro (cp) in pazienti parzialmente edentuli con o senza parodontite in atto”
(M. Quirinen et al)
La relazione tra parodontite e periimplantite rimane causa di dibattito. Il presente studio confrontò, all’interno di un gruppo di pazienti parzialmente edentuli e scelti a caso (n= 84 soggetti, 97 arcate) la perdita di osso intorno a denti e impianti durante cinque anni (tra 3 e 11 anni), dopo il primo anno di rimodellamento osseo. I pazienti furono tutti riabilitati mediante impianti di titanio commercialmente puro (cp) a vite con superficie tornita (machined) liscia (Branemark System). Durante i cinque anni di osservazione, i parametri parodontali (perdita di osso marginale e di attacco per gli impianti e di attacco per i denti), furono registrati insieme a dati fuorvianti (fumo, igiene orale, perdita ossea). La perdita di osso marginale fu misurata mediante radiografie periapicali eseguite con tecnica del cono lungo. La media di perdita ossea fu significativamente (P=0.0001) maggiore intorno ai denti (0.48 +/- 0.95 mm) che intorno agli impianti (0.09 +/- 0.28 mm). I dati relativi al comportamento del “peggior” dente (0.99 +/- 1.25 mm) ed impianto (0.19 +/-0.32 mm) per soggetto, mostrarono la stessa tendenza. Né la perdita di attacco, né quella di osso attorno ai denti, si correlò con la perdita ossea intorno agli impianti. Questo studio indicò che il tasso di perdita ossea intorno ad impianti a vite di titanio commercialmente puro (cp), con superficie tornita (machined) (Branemark System) non fu influenzato dal tasso di progressione della distruzione parodontale attorno ai rimanenti denti, nell’ambito delle stesse arcate.

19)COIR 2002;13:1
“Articolo di revisione. Rischio infettivo per impianti orali: una revisione della letteratura”
(M. Quirinen et al)
L’uso di impianti orali nella riabilitazione di pazienti parzialmente e totalmente edentuli è largamente accettata anche se i fallimenti possono verificarsi. La probabilità di integrazione per gli impianti può essere per esempio compromessa dalla presenza intraorale di batteri e concomitanti reazioni infiammatorie. La longevità degli impianti osteointegrati può essere compromessa da sovraccarico occlusale e/o periimplantite indotta da placca, a seconda della geometria dell’impianto e delle caratteristiche della superficie. Studi animali, cross – sectional e osservazioni longitudinali nell’uomo, così come associazione di studi, indicano che la periimplantite è caratterizzata da un insieme di microbi comparabile a quello della periimplantite (alta proporzione di bastoncelli anaerobici Gram – negativi, organismi mobili e spirochete), ma ciò non prova necessariamente una relazione causale. Tuttavia, per prevenire un tale viraggio batterico, le seguenti misure possono essere considerate: la salute parodontale nella rimanente dentizione (per prevenire la traslocazione batterica), l’evitare la presenza di profonde tasche periimplantari, e l’uso di un pilastro e superfici implantari relativamente lisci. Finalmente, la parodontite aggravata da fattori come il fumo e la scarsa igiene orale incrementano anche il rischio per la periimplantite. Se la suscettibilità per la parodontite sia in relazione a quella per la periimplantite, può variare in base al tipo di impianto e specialmente alla topografia della sua superficie.

20)COIR 2002;13:20
“Gli effetti di uno sciacquo di clorexidina immediatamente prechirurgico sulla contaminazione batterica dei frustoli d’osso raccolti durante l’implantologia”
(M. Young et al)
Gli interventi implantologici producono frustoli d’osso che possono essere utilizzati nella tecnica di “aumento simultaneo”. Sebbene questi frustoli vengano contaminati con i batteri orali un accorto protocollo di aspirazione ha mostrato di ridurre i livelli di tale contaminazione. Il collutorio alla clorexidina è uno sciacquo antibatterico ben testato che ha dimostrato ridurre le complicazioni infettive associate agli impianti dentali. Questo studio esaminò l’effetto di uno sciacquo preoperatorio con un collutorio allo 0.1% di clorexidina digluconato sulla contaminazione batterica presente nei frustoli di osso aspirati. Venti pazienti parzialmente edentuli furono, in modo randomizzato, collocati in gruppi uguali e furono sottoposti a raccolta d’osso mediante il raccoglitore di osso Frios durante l’inserzione di due impianti dentali. Nel gruppo T uno sciacquo preoperatorio di clorexidina venne effettuato, mentre nel gruppo C fu usata acqua sterile. Per entrambi i gruppi un attento protocollo di raccolta ossea fu utilizzato. Campioni d’osso furono immediatamente prelevati per l’analisi microbiologica. La morfologia microscopica e delle colonie, le richieste gassose e i kit di identificazione furono utilizzati per la classificazione dei microbi isolati. Trentanove specie furono identificate inclusa una parte associata alla malattia parodontale, in particolare Actinomyces odontolyticus, Clostriduium bifermentans, Prevotella intermedia, e Propionibacterium propionicum. Campioni dal gruppo T (sciacquo con clorexidina) mostrarono significativamente meno organismi (P<0.01) che nel gruppo C (sciacquo con acqua sterile). Cocci Gram – positivi costituirono la maggior parte dei microbi isolati in entrambi i gruppi. Si conclude che se frustoli d’osso devono essere utilizzati per un immediato aumento simultaneo, si deve utilizzare uno sciacquo prechirurgico di clorexidina insieme ad un corretto protocollo di aspirazione per ridurre un ulteriore contaminazione batterica dei frustoli d’osso raccolti.

21)COIR 2002;13:30
“Reazione dell’osso marginale agli impianti orali: uno studio prospettico comparativo di impianti Astra Tech e Branemark System”
(B. Engquist et al)
Nei primi studi su impianti Astra Tech e Branemark System, alti tassi di sopravvivenza e scarsi cambiamenti dell’osso marginale sono stati dimostrati. Lo scopo di questo studio fu di comparare i due sistemi principalmente riguardo ai cambiamenti dell’osso marginale, ma anche con riguardo alle altre variabili cliniche di interesse. Il presente articolo descrive i risultati dopo tre anni. Sessantasei pazienti furono inclusi nello studio e casualmente assegnati al trattamento con impianti Astra Tech (n=184) o Branemark System (n=187). Il livello di osso marginale fu esaminato radiograficamente alla inserzione dell’impianto, alla connessione del pilastro, all’inizio dello studio (consegna della ricostruzione protesica) e ad uno e tre anni di controllo. Tra l’inserzione dell’impianto e l’inizio dello studio, le modalità di riassorbimento marginale dell’osso differirono tra i due sistemi. Tuttavia, non vi fu nessun significativo cambiamento dell’osso marginale tra l’inizio dello studio e l’esame a un anno o tra quello a uno e quello a tre anni. Neppure vi fu qualche differenza tra i due sistemi. La media di perdita ossea nella mascella tra BL (inizio dello studio) e tre anni fu 0.2 +/- 0.3 mm per gli impianti Astra Tech e 0.2 +/- 0.1 mm per gli impianti del Branemark System. I corrispondenti risultati per la mandibola furono 0.3 +/- 0.2 mm e 0.2 +/- 0.1 mm. Il tasso di sopravvivenza degli impianti Astra Tech fu significativamente più alto (98.9%) degli impianti del Branemark System (95.2%). Tuttavia, cinque dei nove impianti persi nel gruppo Branemark si verificò in un unico paziente. Per questa ragione questo risultato deve essere interpretato con cautela. Il numero di pazienti con perdite di impianti non differì significativamente tra i due sistemi. Poche complicazioni furono registrate fino a tre anni.

22)COIR 2001;12:559
“Ampiezza biologica intorno ad impianti di titanio ad uno o due pezzi. Una valutazione istometrica di impianti non caricati sommersi e non sommersi nella mandibola del cane.”
(J. Hermann et al)
L’estetica gengivale attorno ai denti naturali, si basa su una costante dimensione verticale dei tessuti molli parodontali sani, l’Ampiezza biologica. Quando si inseriscono impianti, tuttavia, molti fattori, che non sono ancora ben chiari a tutt’oggi, influenzano le reazioni dei tessuti periimplantari crestali molli e duri. Pertanto, lo scopo di questo studio, fu di esaminare le dimensioni istometriche dei tessuti molli periimplantari in seguito a varie posizioni di un bordo implantare ruvido/liscio in impianti ad un pezzo o di una microfessura in impianti a due pezzi, in relazione alla cresta ossea, con impianti a due pezzi posizionati mediante una tecnica sommersa o non sommersa. Quindi, 59 impianti furono posizionati in mandibole edentule di cinque cani, confrontando due lati contrapposti. Al tempo del sacrificio, sei mesi dopo l’inserzione implantare, la dimensione verticale per impianti ad un pezzo con bordo ruvido/liscio, posizionato al livello della cresta ossea, fu significativamente inferiore (P<0.05) se confrontato con impianti a due pezzi con una microfessura posizionata a livello o sotto la cresta ossea. Inoltre, per impianti ad un pezzo, il margine gengivale (GM) si localizzò significativamente più coronalmente (P<0.005) se comparato ad impianti a due pezzi. Questi risultati, valutati mediante istologia non decalcificata, in condizioni di non carico, nella mandibola di cane, suggeriscono che il margine gengivale si posiziona più coronalmente e che le dimensioni dell’ampiezza biologica (BW) sono più simili al dente naturale intorno ad impianti non sommersi ad un pezzo, al confronto ad impianti a due pezzi non sommersi o a due pezzi sommersi.

23)COIR 2002;13:38
“Controllo a lungo termine di settantasei impianti Branemark su dente singolo”
(R. Haas et al)
In un precedente studio (Haas 95), riportammo i risultati preliminari di 76 impianti Branemark posizionati in 71 pazienti con mancanza di un dente singolo. Il presente studio esamina i risultati dello stesso gruppo, durante un lungo periodo di tempo: 55 impianti furono seguiti per più di cinque anni, 12 tra quattro e cinque anni e uno per 46 mesi. Un paziente morì tre anni dopo l’inserzione implantare. Il tasso dei ritiri fu di due impianti in due pazienti; quello dei richiami fu del 97%. Dei cinque impianti falliti, due furono inseriti nella mascella e tre nella mandibola. La probabilità di sopravvivenza di Kaplan – Meier fu del 93% dopo 12 mesi. Il 74% dei siti, mostrò tessuti molli periimplantari in condizioni di salute. Su 15 impianti (22%) fu osservato, mediante radiografie endorali, un riassorbimento osseo di più di 2 mm. La media del riassorbimento osseo fu di 1.8 mm nella mascella e 1.3 mm nella mandibola e non aumentò nel tempo (coefficiente di correlazione Person: r=-0.06, P=0.59). Vi fu svitamento del pilastro in sette impianti (10%), tuttavia tutti i pilastri che inseguito furono serrati con torque definito, rimasero stabili. Pertanto dei risultati preliminari favorevoli possono essere mantenuti su una media di 66 mesi, indicando che se un fallimento si manifesta, sembra verificarsi nei primi due anni dopo l’inserzione.

24)COIR 2002;13:44
“Trattamento di atrofia severa del mascellare con innesto di fibula prefabbricata usata come lembo libero vascolarizzato.”
(D. Rohner et al)
Il trattamento dell’atrofia severa nel mascellare, mediante l’utilizzo di una chirurgia maggiore, spesso esita in un risultato non soddisfacente. Questo articolo presenta l’aumento di mascellare con innesto di fibula prefabbricata usata come lembo libero vascolarizzato, in combinazione con impianti ITI (Straumann AG, Waldenburg, Svizzera) in quattro pazienti. La tecnica del pezzo prefabbricato per la ricostruzione dei difetti maxillo facciali, viene descritta sulla base dell’esperienza con 17 pazienti. I punti chiave del trattamento sono i) pianificazione preoperatoria per la fabbricazione di una mascherina di frenaggio; ii) prefabbricazione di una fibula con impianti ITI ed esecuzione di una “vestiboloplastica” utilizzando un innesto di cute; iii) allestimento di una sottostruttura e di una dentiera; iv) ricostruzione della mascella con fibula prefabbricata usata come lembo libero vascolarizzato. Le ricostruzioni con lembi di fibula ebbero successo e i 18 impianti ITI che vennero inseriti mostrarono una buona osteointegrazione senza perdita di attacco, in tutti i quattro i pazienti, dopo una media di osservazione di 12 mesi.

25)COIR 2002;13:59
“Valutazione della precisione di posizionamento di impianti endossei orali nella mandibola edentula, mediante un sistema di posizionamento intraoperatorio guidato dal computer.”
(F. Wanschmitz et al)
Si valutò la precisione complessiva di un nuovo sistema chirurgico di navigazione guidata dal computer per il posizionamento di impianti endossei. Cinque mandibole secche di cadavere, furono scannerizzate mediante TAC ad alta risoluzione (HRCT). Si pianificò l’inserzione di quattro impianti intraforaminali sullo schermo del computer e trasferiti nelle mandibole di cadavere usando il VISIT, un programma di navigazione chirurgica sviluppato all’ospedale Generale di Vienna. I reperti furono poi sottoposti a HRCT per confrontare la posizione degli impianti con il piano di trattamento prechirurgico su sezioni riformattate, dopo aver sovrapposto i dati pre e post-chirurgici. La precisione complessiva fu 0.96 +/- 0.72 mm (tra 0.0 e 3.5 mm). Non si verificò alcuna perforazione della corticale o danno al canale mandibolare. Noi concludiamo che la chirurgia implantare guidata dal computer può aggiungere un livello di precisione laddove ulteriori miglioramenti clinici siano possibili.

26)COIR 2002;13:65
“Valutazione mediante frequenza di risonanza della stabilità di impianti dentali in diverse qualità ossee: un approccio numerico.”
(H. Huang et al)
L’analisi della frequenza di risonanza (RFA) è stata utilizzata da vari autori per valutare le condizioni limite degli impianti dentari. Lo scopo del presente studio fu di determinare il comportamento vibratorio di un impianto dentale sotto varie condizioni di osso circostante. Un modello dell’elemento finito (FE) in tre dimensioni di un impianto cilindrico fu sviluppato. In questo modello, l’impianto fu immerso in una sezione cubica di osso. Il modello fu dapprima approvato mediante una serie di esperimenti testanti la procedura. Gli effetti delle condizioni ossee sulla frequenza di risonanza dell’impianto furono calcolati con differenti tipi di osso e di densità. I nostri risultati mostrano che la frequenza di risonanza dell’impianto con circostante osso di tipo III, diminuì linearmente (r=0.996, P<0.01) da 17.9 kHz (senza perdita in densità ossea) a 0.6 kHz (90% di perdita di densità ossea) quando le densità ossee diminuirono. Dall’altro lato, senza perdita ossea, il maggior valore di frequenza di risonanza (36.1 kHz) fu rinvenuto quando l’impianto venne posizionato in circostante osso di tipo I. Al contrario, la frequenza di risonanza dell’impianto in osso di tipo IV, fu rilevato essere 9.9 kHz, che è circa quattro volte meno di quella del tipo I. Questi risultati suggeriscono che l’RFA può servire come metodo di diagnosi non invasiva, per determinare la stabilità di impianti dentari durante le fasi di guarigione e durante i controlli a distanza di tempo dopo il trattamento.

27)COIR 2002;13:80
“L’espressione della proteina morfogenetica dell’osso in corso di osteoinduzione mediante ricombinante umano della proteina–2 morfogenetica dell’osso.”
(Y. Okub et al)
Per chiarire il meccanismo di osteoinduzione mediante ricombinante umano della proteina–2 morfogenetica dell’osso (rh BMP–2), esaminammo la localizzazione nel tempo di proteine morfogenetiche dell’osso (BMP) marchiate immunologicamente con un anticorpo monoclonale anti - BMP–2 dopo innesti di tavolette di collagene e rh BMP – 2 in una tasca creata nel polpaccio di topo. Al terzo giorno dell’innesto, la BMP fu rilevata nell’intera massa e l’intensità di colorazione per la BMP intorno all’impianto al settimo giorno, fu inferiore di quella presente al terzo giorno. La colorazione per la BMP diminuì nel tempo e la regione di colorazione per la BMP rimase più focalizzata sull’innesto. Al decimo giorno dopo l’innesto, la BMP fu reperita in parte della nuova cartilagine indotta, specialmente intorno ai condrociti. Il quattordicesimo giorno, la BMP fu rilevata nel nuovo osso midollare indotto. Al ventunesimo giorno, la BMP colorata fu ritrovata negli osteoblasti sulla superficie del nuovo osso indotto. In particolare la colorazione della BMP diminuì dal decimo al ventunesimo giorno. Questi risultati indicano che l’osso midollare fu sostituito da osso maturo lamellare dal quattordicesimo al ventunesimo giorno. I presenti risultati suggeriscono che l’rh BMP–2 gioca un ruolo importante nell’osteoinduzione, specialmente nelle sue prime fasi.

28)COIR 2002;13:103
“Risultati clinici di aumento di cresta alveolare con innesti di osso mandibolare in blocco in pazienti parzialmente edentuli prima del posizionamento implantare.”
(L. Cordaro et al)
Un gruppo di 15 pazienti parzialmente edentuli che necessitavano di aumento di cresta alveolare per inserzione implantare, furono consecutivamente trattati mediante una tecnica a due fasi in pazienti ospedalieri. Un totale di 18 segmenti alveolari furono innestati. Durante la prima operazione, dei blocchi di osso prelevati dal ramo mandibolare o dalla sinfisi, furono inseriti con innesti a ricoprimento (onlay) laterali o verticali e fissati con viti di osteosintesi in titanio, dopo esposizione della cresta alveolare deficitaria. Dopo sei mesi di guarigione, il lembo fu riaperto, le viti rimosse e gli impianti posizionati. Dodici mesi dopo la prima operazione, delle protesi implanto–supportate furono consegnate ai pazienti. La media di aumento laterale ottenuta durante l’intervento d’innesto fu di 6.5 +/- 0.33 mm, che si ridussero durante la guarigione ad una media di 5.0 +/- 0.23 mm. La media di aumento verticale ottenuta durante l’intervento d’innesto nei 9 siti in cui serviva, fu di 3.4 +/- 0.66 mm e di 2.2 +/- 0.66 mm durante l’inserzione implantare. Mediamente l’aumento laterale e verticale si ridusse del 23.5% e del 42%, rispettivamente, durante la guarigione dell’innesto (prima del posizionamento implantare). I siti mandibolari mostrarono una maggior quantità di riassorbimento dell’innesto rispetto ai siti mascellari. Tutti i 40 impianti inseriti mostrarono osteointegrazione alla connessione del pilastro e dopo il carico protesico (media del controllo a distanza: 12 mesi). Non si riscontrarono complicazioni maggiori nei siti donatori e riceventi. Un ecchimosi visibile fu presente per 4/7 giorni quando l’osso fu prelevato dalla sinfisi. Dal punto di vista clinico, questa procedura appare semplice, sicura ed efficace per il trattamento di difetti localizzati della cresta alveolare in pazienti parzialmente edentuli.

29)JOMI 2002;17:17
“Registrazione in vivo dello sviluppo delle forze con materiale occlusale ceramico o resinoso su protesi implanto–supportate.”
(R. Bassit et al)
Scopo : E’ stato ipotizzato che la generazione di colpi su protesi implanto–supportate durante la masticazione, può generare carichi maggiori sull’impianto se il materiale di rivestimento è la porcellana piuttosto che la resina acrilica. Materiali e metodi: Il presente studio utilizza pilastri dotati di misuratore di sforzo per valutare la forza trasferita all’impianto dopo che un colpo (masticatorio) viene applicato. Questo sforzo fu misurato in vitro e in vivo su cinque pazienti. Risultati: I diversi materiali occlusali non portarono alla produzione di differenti forze applicate agli impianti dei pazienti. Discussione: Da un punto di vista pratico, la scelta del materiale occlusale, non ha influenza, di per sé, sulla forza generata sugli impianti. Conclusioni: Il presente studio dimostrò che a) c’è una diversità in resilienza tra resine acriliche e ceramica come materiali di rivestimento, ma che b) questa differenza è solo misurabile in vitro laddove la forza generata sia costituita solo da un colpo (masticatorio) e l’impianto sia rigidamente ancorato.

30)JOMI 2002;17:24
“Forze di svitamento di pilastri conici, rastremati: effetti dell’anodizzazione e della diminuzione dell’area di superficie.”
(R. Squirer et al)
Scopo : Valutare gli effetti dell’anodizzazione (rivestimento della superficie) e della riduzione della superficie interna del sistema conico di connessione Morse sulle forze di svitamento di impianti dentali e pilastri Straumann ITI. Materiali e metodi: 80 impianti ITI a vite piena furono accoppiati con altrettanti pilastri solidi da 5.5 mm. Gli assemblaggi furono divisi in quattro gruppi test di venti campioni. Tutti i pilastri furono avvitati nell’impianto a 35 Ncm. Metà dei pilastri furono anodizzati e metà si lasciarono integri. Entrambi questi gruppi inclusero metà degli impianti con il sistema interno conico Morse standard e metà con una interfaccia interna di posizionamento (mediante TAC) del nuovo tipo SynOcta (Straumann USA, Waltham, MA) si eseguirono sugli assemblaggi dei test sulla forza di svitamento. I quattro gruppi furono comparati statisticamente per sommare l’effetto delle due variabili (anodizzazione e riduzione dell’area di superficie). Per confrontare i gruppi venne utilizzato il test per le comparazioni multiple Scheffe ad un livello di significatività di <=0.5. Risultati: Tutti i campioni rilevarono che la forza di svitamento fu maggiore con l’impianto con tacche interne (SynOcta) accoppiato al pilastro non anodizzato. Discussione: Gli impianti standard con pilastri anodizzati e non, mostrarono forze di svitamento inferiori. Conclusioni: L’aggiunta di una superficie interna con tacche all’impianto ITI, non mostrò effetti deleteri sulla resistenza allo svitamento di pilastri solidi standard.

31)JOMI 2002;17:28
“Osteointegrazione mediante leghe di titanio in osso trabecolare e corticale di animali ovariectomizzati: misurazione istomorfometriche e di durezza ossea.”
(M. Fini et al)
Scopo: Misurazioni istomorfometriche e di microdurezza in osso trabecolare e corticale di animali in salute e ovariectomizzati per determinare la caratterizzazione dell’interfaccia osso – biomateriale in osso di scarsa qualità. Materiali e metodi: Vennero utilizzati nove topi ovariectomizzati e nove artificialmente invecchiati. Quattro mesi dopo, furono impiantati degli anellini nella parte distale del femore, e gli animali vennero sacrificati dopo otto settimane. Inoltre si utilizzarono tre pecore ovariectomizzate e tre artificialmente invecchiate. Ventiquattro mesi dopo, furono impiantate delle vite nelle diafisi tibiali e gli animali furono sacrificati a dodici settimane. Risultati: L’istomorfometria mostrò lo sviluppo di osteopenia sia in osso trabecolare che corticale e rivelò una significativa diminuzione di tasso di osteointegrazione negli animali osteopenici v/s quelli artificialmente invecchiati, sia per l’osso trabecolare ( indice di affinità: -18.6%, P<.001) che per quello corticale ( indice di affinità: -23.5%, P<.005; crescita ossea: -9%, P<.05). Fu osservato, all’interfaccia di animali artificialmente invecchiati, sia in osso trabecolare che corticale, una diminuzione della microdurezza ossea, al confronto con l’osso preesistente (trabecolare: -9.8%, P<.0005; corticale: -24.7%, P<.0005). Discussione: I presenti dati suggeriscono che la formazione ossea attorno a leghe di titanio (Ti6Al4V), non fu associata con la completa maturazione ossea, anche in animali sani. In caso di osteopenia vennero rallentate sia la formazione che la maturazione ossea. Conclusioni: Questi risultati apparentemente dimostrano l’utilità di testare i biomateriali in osso di scarsa qualità e l’importanza di una attenta valutazione del tasso di guarigione e del grado di maturazione ossea attorno a biomateriali impiantati.

32)JOMI 2002;17:38
“Associazione del gene polimorfo per il recettore della calcitonina e la precoce perdita di osso marginale attorno ad impianti endossei.”
(Y. Nosaka et al)
Scopo : Questo studio investigò la relazione tra il genotipo del recettore per la calcitonina (CTR) e la perdita ossea marginale vestibolare osservata alla riapertura di impianti endossei. Materiali e metodi: Un totale di 237 impianti vennero inseriti in 35 pazienti; 89 impianti furono posizionati nella mascella e 148 nella mandibola. Il polimorfismo genetico del CTR fu esaminato mediante il metodo della reazione della catena della polimerasi con restrizione della lunghezza del frammento del polimorfismo. Risultati: I pazienti col genotipo TC ebbero venti volte una maggior probabilità di presentare perdita ossea marginale vestibolare nella mandibola di pazienti con genotipo CC. Inoltre, non vi furono significative differenze nella distribuzione in età, fumo, donne in post – menopausa e qualità ossea tra pazienti con e senza perdita ossea in entrambe le arcate. Discussione: Questi risultati suggeriscono che la conoscenza del fattore di rischio, non può spiegare la precoce perdita ossea marginale attorno agli impianti. Conclusioni: Anche se è necessario condurre ulteriori ricerche genetiche, viene suggerito che il test genetico CTR, può diventare uno strumento utile per il piano di trattamento prima della chirurgia implantare e può condurre ad un trattamento può predicabile.

33)JOMI 2002;17:44
“Valutazione istologica e istomorfometrica dell’osso periimplantare soggetto a carico immediato: uno studio sperimentale con la Macaca Fascicularis.”
(G. Romanos et al)
Scopo : Impianti uniti tra loro ed immediatamente caricati possono osteointegrarsi quando posizionati nella parte anteriore della mandibola. Il concetto di carico immediato non è stato ben esaminato nelle parti posteriori della mandibola. Lo scopo di questo studio fu di valutare le reazione dei tessuti duri intorno ad impianti immediatamente caricati, posizionati nelle parti posteriori di mandibole di scimmia. Materiali e metodi: Sei scimmie adulte Macaca Fascicularis, vennero utilizzate in questo studio. Trentasei impianti Ankylos (Degussa Dental, Hanau – Wolfgang, Germania) vennero inseriti dopo estrazione dei secondi premolari, primi e secondi molari e completa guarigione dei loro alveoli. Un gruppo di impianti di controllo (c) vennero inseriti e, dopo l’osteointegrazione, furono caricati per un mese mediante protesi in resina acrilica ed in seguito per due mesi con corone metalliche unite tra loro. Nella regione mandibolare controlaterale, il gruppo di impianti in esame (t) vennero inseriti ed immediatamente caricati con la stessa sequenza del gruppo c. Dopo il sacrificio degli animali i campioni vennero esaminati istologicamente e valutati istomorfometricamente. Risultati: Tutti gli impianti si osteointegrarono. Venne dimostrato contatto di osso compatto, corticale con la superficie implantare, senza spazi o formazione di tessuto connettivo. Discussione: I reperti istomorfometrici de contatti osso–impianto non mostrarono differenze significative tra i gruppi t e c. Le aree mineralizzate di osso periimplantare, presentarono differenze statisticamente significative e mostrarono una più alta densità dell’osso tra le spire degli impianti immediatamente caricati. Conclusioni: Impianti uniti ed immediatamente caricati nelle parti posteriori della mandibola, si osteointegrarono con una risposta dei tessuti duri periimplantari simile a quella di impianti caricati dopo osteointegrazione. Inoltre il carico immediato sembra aumentare l’ossificazione dell’osso alveolare attorno agli impianti endossei.

34)JOMI 2002;17:52
“Distrazione alveolare osteogenetica del pre-maxilla: uno studio clinico prospettico di cinque anni.”
(O. Jensen et al)
Scopo : Distrazioni alveolari verticali del pre-maxilla furono seguite per cinque anni. Materiali e metodi: Un totale di trenta distrazioni verticali furono eseguite in 28 pazienti. Due pazienti ebbero distrazioni sia del pre-maxilla, sia della sinfisi mentoniera per un totale di 30 distrazioni. Vennero utilizzato due tecniche di distrazione: uno strumento implantare (3i) e uno a vite ortodontica (Osteomed) per ancoraggio ortodontico. Entrambi gli strumenti permisero un certo movimento sia orizzontale che verticale. La media della distrazione verticale fu di 6.5 mm, mentre quella orizzontale fu meno di 2 mm. Risultati: 84 impianti furono inseriti ma 8 non si osteointegrarono. Discussione: Tutti gli impianti falliti vennero inseriti in osso di scarsa qualità che necessitò di innesto d’osso. La più comune restaurazione fu una protesi fissa implanto-supportata; il maggior controllo a distanza dopo carico fu di 4.4 anni. Conclusioni: Questo studio clinico aggiunge evidenza a favore della stabilità ed utilità delle procedure di distrazione verticale nella zona alveolare estetica del pre-maxilla.

35)JOMI 2002;17:69
“L’influenza della dentizione mandibolare sui fallimenti implantari nei mascellari edentuli innestati d’osso.”
(J. Becktor et al)
Scopo: Per valutare l’influenza della dentizione mandibolare sul comportamento di impianti mascellari, prima della connessione protesica definitiva, in mascelle ricostruire con innesti di osso autologo. Materiale e metodi: Si effettuò una revisione retrospettiva di 90 pazienti consecutivi, 31 uomini e 59 donne, di età media di 57.4 anni. Tutti i pazienti furono trattati mediante inserzione di impianti nel mascellare in concomitanza con l’innesto di osso autologo. Durante il periodo tra il posizionamento degli impianti e/o degli innesti d’osso e l’inserzione delle ricostruzioni protesiche definitive nella mascella, le dentizioni mandibolari vennero registrare e classificate in sei gruppi basandosi sulla presenza e sulla distribuzione dei denti rimasti. Risultati: Dei 643 impianti posizionati, 118 (18.4%) furono persi tra l’inserzione e la protesi finale. Il tipo di dentizione mandibolare fu significativamente associato al fallimento implantare durante questo periodo di tempo (P<.001). In particolare, pazienti con impianti opposti a supporti occlusali mandibolari unilaterali, mostrò il maggior tasso di fallimento implantare (43.8%, o 28 impianti di 64). Impianti mascellari che antagonizzarono con restaurazioni fisse implanto-supportate mandibolari, dimostrarono un tasso di fallimento implantare del 14.3% (10 impianti di 70), e in pazienti con una protesi completa mandibolare rimovibile, il tasso di fallimento implantare fu del 6.2% (4 impianti di 65 falliti). Il tempo complessivo di controllo dei pazienti fu di 64.2 mesi. A 60 mesi il tasso cumulativo di fallimento implantare, basato sul metodo di Kaplan – Meier fu del 20.2%. Discussione: Sfavorevoli concentrazioni di forze sul mascellare possono contribuire ad aumentare il rischio di fallimento implantare. Conclusioni: Si deve fare uno sforzo per creare un’occlusione mandibolare favorevole con l’attenzione ad ottenere una estesa distribuzione dei contatti occlusali.

36)JOMI 2002;17:78
“Sostituzione del dente singolo mediante il sistema Frialit-2: un’analisi clinica retrospettiva di 146 impianti.”
(G. Krennmair et al)
Scopo : Questo studio intese fornire un rapporto sull’esperienza e i risultati con gli impianti Frialit-2 utilizzati per la sostituzione del dente singolo. Materiale e metodi: In un periodo di sette anni (1994/2000), 146 impianti per dente singolo (84 nella mascella, 62 nella mandibola) vennero inseriti in 112 pazienti (67 femmine, 45 maschi; di età media di 31.2 +/- 16.4 anni). I siti inclusero sia denti anteriori mascellari (n=38), sia premolari e molari mandibolari (n=57). 93 corone vennero cementate e 53 avvitate (22 con vite occlusale e 31 con vite orizzontale) su pilastri standard. Il periodo di controllo variò tra tre e ottanta mesi (media 35.8 +/- 16.5 mesi). Risultati: Due impianti fallirono (1.4%), uno durante il carico precoce e l’altro dopo sei anni. La complicazione protesica più frequente fu la scementazione di corone che richiese la ricementazione in 9 casi (9.9%). Le corone con vite occlusale non mostrarono svitamenti. Quattro corone furono sostituite a causa di fratture della ceramica. Discussione: Le condizioni dei tessuti molli periimplantari, il riassorbimento osseo e i valori di Periotest indicarono risultati soddisfacenti. Il tasso cumulativo di sopravvivenza implantare durante il periodo di controllo fu del 97.3% e quello protesico del 96.4% (tasso cumulativo totale del 93.7%). Conclusioni: Con il basso numero di svitamenti del pilastro (3.5%), la ritenzione con esagono profondo interno si contrappose favorevolmente ai metodi di ritenzione esterna. L’uso prevalente di impianti lunghi (98.4 >/= 13mm) permise un rapporto impianto/corona con un potenziale di assenza di problemi nel lungo periodo.

37)JOMI 2002;17:95
“Metodo per posizionare impianti palatali”
(T. Tosun et al)
Scopo : Gli impianti palatali sono stati utilizzati negli ultimi 20 anni per eliminare la trazione extraorale e per ottenere un ancoraggio stabile. Lo scopo di questa ricerca fu di proporre un metodo ed un semplice protocollo per il posizionamento di impianti palatali. Materiale e metodi: Lo studio comprese 8 pazienti maschi e 15 femmine che ebbero posizionati ognuno un impianto in titanio a gradini di 4.5x8 mm nella regione palatale per scopi ortodontico. Fu preparata una dima contenente un cilindro metallico cavo per il posizionamento di una fresa. L’angolazione del cilindro fu determinata in base alle misurazioni radiologiche trasferite su una sezione paramediana del modello in gesso. Gli impianti vennero posizionati con tecnica non invasiva (con eliminazione di incisione, elevazione di un lembo e sutura) e lasciati transmucosi per facilitare la procedura chirurgica e ridurre le operazioni. La regione paramediana fu scelta per evitare il tessuto connettivo della sutura palatina e perché fu valutata essere un sito favorevole per ospitare un impianto. Risultati: Dopo tre mesi di guarigione, tutti gli impianti si osteointegrarono e nessuno fu perso durante il trattamento ortodontico. Discussione: Gli impianti palatali possono essere utilizzati efficacemente per il mantenimento dell’ancoraggio e per procedure di aumento degli spazi. Conclusioni: L’uso di una mascherina chirurgica tridimensionale eliminò la possibilità di uno scorretto posizionamento implantare, ridusse il tempo alla poltrona, minimizzò il trauma ai tessuti e migliorò l’osteointegrazione.

38)JOMI 2002;17:107
“Immagini sezionali delle arcate per trattamento con impianti dentali: precisione della tomografia lineare, utilizzando un ortopantomografo, al confronto della TAC”
(M. Naitoh et al)
Scopo : Anche se vari ortopantomografi con funzione di tomografia lineare sono ora frequentamente utilizzati come diagnosi e piano di trattamento implantare, gli angoli dei piani tomografici sono standardizzati e non possono essere individualizzati per ogni paziente. Per risolvere questo problema, fu sviluppato un sistema di posizionamento diretto mediante laser (DLP). In questo studio si valutò la precisione delle immagini ottenute mediante il sistema DLP al confronto di quelle ottenute mediante TAC. Materiali e metodi: Un manichino a forma di parallelepipedo fu scannerizzato mediante il sistema e larghezza e altezza furono misurate sulla tomografia lineare. Dieci siti in tre mandibole secche e ventun siti mandibolari in quindici pazienti vennero esaminati sia con il sistema DLP che mediante TAC, per confrontare le misurazioni su entrambe le immagini. Risultati: Il manichino da esperimento mostrò che la differenza tra oggetto e le immagini fu entro il millimetro. Discussione: La differenza tra i valori ottenuti con il sistema DLP e la TAC, fu leggermente maggiore nei pazienti che nelle mandibole secche. Conclusioni: La precisione delle misurazioni DLP fu ritenuta sufficiente per l’utilizzo clinico.

39)JOMI 2002;17:113
“Posizionamento immediato di impianti dopo approccio mediante fresa carotatrice (trephine) e osteotomo: tasso di successo di 116 impianti dopo quattro anni di carico.”
(P. Fugazzotto)
Scopo: Viene presentata una tecnica che utilizza una fresa carotatrice con diametro interno di 3 mm seguita dall’uso di un osteotomo per inserire un blocchetto di osso alveolare nel mascellare posteriore, prima del posizionamento immediato di un impianto. Materiale e metodi: Vengono discusse in dettaglio la tecnica, le indicazioni e le controindicazioni. Risultati: 116 impianti vennero inseriti e riaperti utilizzando questa tecnica. Due impianti risultarono mobili alla riapertura. Discussione: 114 impianti vennero protesizzati e funzionarono con successo fino a quattro anni secondo i criteri di Albrektsson, raggiungendo un successo del 98.3%. Conclusioni: Nessun impianto fallì o sta fallendo durante il carico.





40)JP (Journal of Periodontology) 2001;72:1652
“Contaminazione interna di un sistema implantare a due componenti dopo carico occlusale e protesi cementate provvisoriamente con o senza rondella in silicone (o-ring).”
(L. Rimondini et al)
Precedenti: La contaminazione microbica interna di impianti orali è stata suggerita come responsabile dell’infiltrato infiammatorio dei tessuti periimplantari all’interfaccia impianto-pilastro di sistemi implantari a due fasi e due componenti; viene anche considerata come potenziale riserva di batteri. Il presente studio in vivo valuta la contaminazione della vite interna che connette l’impianto al pilastro, dopo carico occlusale e protesi cementata provvisoriamente con o senza rondella in silicone (o-ring). Metodi: Otto impianti orali a due componenti sigillati con una rondella in silicone e nove senza, furono inseriti in sette pazienti con ottima igiene orale. Due mesi dopo l’inserzione protesica, vennero rimosse le corone e le viti interne, e fu esaminata la contaminazione organica ed inorganica della vite mediante elettroscopia a scansione e analisi radiografica spettroscopica dell’energia dispersiva (EDS). Risultati: Su tutte le viti si evidenziò una contaminazione amorfa e cristallina che suggeriva agglomerati di calcio e fosfato. La contaminazione microbica fu riscontrata più frequentemente nel gruppo non sigillato. Non si osservarono differenze nei morfotipi batterici tra gli impianti sigillati e non. I cocchi furono i morfotipi più rappresentati mentre i bastoncelli furono raramente evidenziati. Conclusioni: Nella clinica, avviene una percolazione all’interfaccia impianto-pilastro, sebbene la contaminazione batterica sia limitata in pazienti con ottima igiene. La contaminazione può essere ridotta mediante rondelle in silicone (o-ring).

41)JP 2001;72:1658
“Effetto in vitro del fattore beta di trasformazione della crescita sull’espressione molecolare dell’adesione da parte di fibroblasti gengivali umani, cresciuti in presenza di un pilastro in titanio.”
(G. Schierano et al)
Precedenti: C’è poca informazione in letteratura sulle basi strutturali che mediano l’adesione cellulare alla superficie di pilastri in titanio. Noi collocammo fibroblasti gengivali su un pilastro in titanio creando una situazione la più vicina possibile alla situazione in vivo. Noi analizzammo il fattore beta-indotto della crescita, costitutivo e di trasformazione, espressione dell’adesione delle molecole CD44, CD49b, CD49c, CD51, CD54, CD61 e i componenti della matrice extracellulare, fibronectina, laminina e collagene IV. Metodi: Tre paziente totalmente edentuli si sottoposero a trattamento implantare per ancorare una dentiera mandibolare a due impianti. Campioni della mucosa gengivale furono prelevati nella mandibola durante la prima fase chirurgica e si prepararono le colture di fibroblasti gengivali. Le cellule furono coltivate per 48 ore con o senza forme simili di TGF-beta1, TGF-beta2 e TGF-beta3. L’espressione dell’adesione molecolare e la componente ECM fu analizzata mediante colorazione all’immunofluorescenza e citometria di scorrimento. Risultati: L’aggiunta di forme simili di TGF-beta a colture cellulari oltre il periodo di incubazione, ha un piccolo effetto sul tasso di crescita delle cellule ma significativamente influenzò l’orientamento delle cellule che cambiò da sole splendente in condizioni di controllo ad una organizzazione più allungata e perpendicolare alla superficie del pilastro. In tutte le preparazioni fibroblastiche, si rilevò una marcata espansione di CD44 ed una moderatamente positiva per anti-CD49b e CD49c. Per contro espressioni CD51, CD54 e CD61 furono trascurabili. Quando i fibroblasti furono coltivati per 48 ore in presenza di TGF-beta, l’espressione della maggior parte dei recettori molecolari aumentò. Le cellule espressero costantemente moderati livelli di laminina e fibronectina a basse quantità di collagene IV. Per contro il trattamento con qualunque delle tre forme simili di TGF-beta, aumentò di molto i livelli di espressione della fibronectina, laminina e, in special modo, del collagene IV. Conclusioni: Il TGF-beta non solo sembra influenzare l’orientamento dei fibroblasti gengivali coltivati, ma anche indurre una chiara variazione dell’espressione della loro adesione cellulare.

42)JPD (Journal of Prosthetic Dentistry) 2001;86:603
“Ritenzione di barre per sovraprotesi (overdenture) mascellari implanto-ritenute di differenti disegni.”
(B. Williams et al)
Esposizione del problema: Lo specifico grado di ritenzione di attacchi da sovraprotesi non è conosciuto in relazione al disegno, locazione e allineamento degli impianti dentali di sostegno. Scopo: Lo scopo di questo studio fu di valutare le caratteristiche della ritenzione iniziale di cinque disegni di sovraprotesi mascellare implanto-ritenute sotto forze dislocanti in vitro. Materiali e metodi: Una mascella edentula simulata venne fabbricata con quattro impianti a vite 3.75x13 mm posti anteriormente. Furono valutati quattro disegni di sovraprotesi con i seguenti attacchi: quattro clips Hader in plastica con una barra EDS; due clips Hader in plastica con un’identica barra EDS; due clips Hader in plastica con due attacchi ERA posteriori; tre attacchi Zaag su una barra; quattro attacchi Zaag senza barra. Le sovraprotesi furono fabbricate con copertura completa del palato. Ogni disegno fu sottoposto a 10 trazioni consecutive mediante una macchina universale da test. I dati furono valutati mediante l’analisi della varianza e il test t per evidenziare le differenze. Risultati: Il valore medio più alto dopo dieci trazioni fu di 19.8 libbre per il disegno clips Hader in combinazione con attacchi ERA. I valori più bassi si ebbero con i disegni con due e quattro clips Hader (5.08 +/- 0.89 libbre e 5.06 +/- 0.67 libbre rispettivamente). La ritenzione diminuì durante il corso delle consecutive trazioni per tutti i disegni, specialmente per quelli più ritentivi. La minor diminuzione di ritenzione si verificò con il disegno meno ritentivo. Conclusioni: I risultati di questo studio in vitro suggeriscono che una attenta scelta e posizionamento degli attacchi può influenzare il successo clinico di sovraprotesi mascellari implanto-ritenute. Implicazioni cliniche: La soddisfazione del paziente è spesso basata sul grado di ritenzione della restaurazione finale. I risultati di questo studio in vitro suggeriscono che la scelta e il posizionamento di attacchi specifici può influenzare la ritenzione di sovraprotesi mascellari implanto-ritenute.

43)JPD 2002;87:23
“Precisione di tre diversi sistemi a stampo per modelli per impianti.”
(A. Wee et al)
Esposizione del problema : Posto che meticolose procedure in protesi implantari vengono raccomandate per ottenere il miglior accoppiamento intraorale possibile, i sistemi a stampo utilizzati per modelli con più impianti, autorizzano ulteriori ricerche. Scopo: Lo scopo di questo studio in vitro fu di confrontare la precisione di modelli per impianti fabbricati con tre concettualmente differenti sistemi a stampo nelle loro fasi solide, sezionate e riposizionate. Materiale e metodi: Vennero rilevate, di un modello maestro, 30 impronte dirette con transfert e polietere. Dieci modelli implantari sperimentali vennero fabbricati per ognuno dei differenti sistemi a stampo testati: doppia colatura (Pindex), base in plastica (DVA), stampo a vaschetta (KO Tray). I modelli sperimentali induriti furono sezionati e poi rimossi dai sistemi a stampo per trenta volte. Le distanze lineari tra palline d’acciaio posizionate su ogni replica del pilastro vennero misurate con un microscopio da trasporto per determinare la precisione di modelli sperimentali nelle varie fasi. I dati vennero analizzati con l’analisi della varianza in ripetute misurazioni (alfa=.05) in seguito il test a gamma multipla di Ryan-Einot-Gabriel-Welsch (REGWQ). Risultati: L’analisi della varianza in ripetute misurazioni rivelò una significativa interazione tra i sistemi a stampo e le differenti fasi (P=.0432). Il test REGWQ mostrò che il sistema a stampo a vaschetta (KO Tray) era sufficientemente più preciso nella fase solida che in quella sezionata e riposizionata. Esso era però meno preciso degli altri due sistemi nella fase sezionata. Conclusioni: Entro le limitazioni di questo studio, l’uso di un sistema a stampo a doppia colatura (Pindex) o a base in plastica (DVA) viene raccomandato quando sono necessari modelli sezionati per una protesi supportata da più impianti. Implicazioni cliniche: La precisione dei modelli per impianti facilita l’efficienza clinica durante la fabbricazione dell’implanto-protesi. I risultati di questo studio sostengono l’uso dei sistemi a stampo a doppia colatura (Pindex) o a base in plastica (DVA) qualora si preferiscono modelli sfilabili per facilitare la ceratura di protesi supportate da impianti multipli.

44)JPD 2002;87:30
“Difetti nelle viti d’oro protesiche esagonali: un’analisi metallografica e tensile”
(S. Rambhia et al)
Esposizione del problema: La frattura di viti d’oro protesiche rimane un problema clinico in implanto-protesi. Scopo: Questo studio esaminò i difetti interni di viti d’oro protesiche esagonali e determinò gli effetti di questi difetti sulla resistenza alla torsione. Vennero anche determinate la microstruttura, microdurezza e costituenti principali delle leghe. Materiali e metodi: Quattro viti d’oro protesiche esagonali intatte, una da ognuno di due lotti di fabbricazione diversi, prodotti da Implant Innovations e Nobel Biocare, furono esaminate con tecniche metallografiche standard per difetti, microstruttura, microdurezza e costituenti principali della lega. 36 viti, 9 da ognuno di due lotti diversi di entrambi i fabbricanti, furono soggette a test di torsione per determinare i valori del carico di rottura. Vennero utilizzati l’analisi della varianza ed i test di Tukey per identificare differenze tra produttori e lotti (P<.05). I punti di frattura vennero esaminati con un microscopio elettronico a scansione per evidenziare eventuali difetti che avrebbero potuto contribuire alla frattura. Venne anche classificata la modalità di frattura. Risultati: Non si rilevarono difetti significativi nelle viti esaminate, ma furono osservate differenze nella microstruttura, microdurezza, composizione della lega e valori del carico di frattura per entrambi i produttori. Le viti dei due produttori mostrarono distintamente differenti caratteristiche metallurgiche che mettevano in risalto differenze nei processi di fabbricazione. I valori del carico di frattura andarono da 850 +/- 20 N a 1093 +/- 64 N. Una differenza significativa fu notata per la media del carico di frattura per lotti differenti di viti dell’Implant Innovations (P<.05). La modalità di frattura fu quella duttile. Conclusioni: I risultati di questo studio suggeriscono che una variabilità nelle proprietà fisiche di viti d’oro protesiche esagonali simili, ma prodotte da diversi fabbricanti, così come in lotti diversi dello stesso fabbricante, possono influenzare il risultato clinico. Implicazioni cliniche: Le viti d’oro esaminate in questo studio furono metallurgicamente solide e non contennero grossi difetti, anche se differenze significative nelle loro proprietà fisiche vennero rilevate. I clinici dovrebbero sapere che anche se componenti simili si assomigliano, non necessariamente si comportano nello stesso modo.

45)JPD 200;87:41
“Complicazioni protesiche in un gruppo di sovraprotesi (overdenture) mandibolari implanto-ritenute: analisi iniziale di uno studio prospettico.”
(N. Chaffee et al)
Esposizione del problema: Il successo clinico di sovraprotesi mandibolari implanto-ritenute e muco-supportate, è stato documentato. Tuttavia, pochi studi hanno valutato le visite di controllo e i costi associati per mantenere queste protesi. Scopo: Lo scopo di questo studio fu di valutare l’intensità del mantenimento richiesto per fornire accettabili e soddisfacenti sovraprotesi mandibolari implanto-ritenute in una prova clinica prospettica. Materiali e metodi: 58 pazienti ricevettero nuove dentiere superiori e inferiori seguite dall’inserzione di impianti microfilettati TiOBlast nelle regioni canine mandibolari. A tre mesi furono connessi attacchi sferici e le protesi furono ribasate per ricevere attacchi femmine tipo Dalla Bona (inizio dello studio). Le protesi furono valutate in modo prospettico, e aggiustamenti furono eseguiti durante visite di richiamo a 3, 6, 12, 24, 36 mesi e durante visite non programmate per nove tipi di complicanze protesiche. Risultati: Dei 58 pazienti 6 non richiesero aggiustamenti. I rimanenti 52 pazienti necessitarono di 327 visite di richiamo (incluse le 194 non programmate) per aggiustamenti alla protesi o ai pilastri. Furono necessarie 112 ore di lavoro di professionisti per fornire soluzioni protesiche ai problemi dei pazienti durante le visite di richiamo. Il costo totale delle prestazioni alla poltrona e di laboratorio fu di 12.624 $ (218$ per ogni paziente). Conclusioni: Anche se le sovraprotesi mandibolari implanto-ritenute con attacchi a palla di tipo Dalla Bona sono un’accettabile scelta terapeutica per i pazienti edentuli, un mantenimento rutinario è richiesto per permettere risultati di successo a lungo termine. Implicazioni cliniche: Sovraprotesi mandibolari implanto-ritenute sono un‘accettabile scelta terapeutica per pazienti edentuli, ma richiede un mantenimento rutinario. L’adattamento biologico alla protesi è specifico per ogni paziente.

46)JPD 2002;87:62
“Una prova clinica randomizzata che compara l’efficacia di sovraprotesi (overdenture) mandibolari implanto-ritenute e dentiere convenzionali in pazienti diabetici. Parte V: confronti tra la preferenza dei cibi.”
(E. Roumanas et al)
Esposizione del problema : Il beneficio funzionale di sostituire vecchie dentiere con nuove dentiere convenzionali o sovraprotesi implanto-ritenute non è stato completamente determinato. Scopo: Questo studio valuta l’impatto di questi due tipi di sostituzioni protesiche sulla scelta dei cibi in pazienti diabetici. Materiali e metodi: Un totale di 68 pazienti diabetici con precedenti dentiere parteciparono allo studio. Il diabete era controllato mediante insulina in 38 pazienti (IT) e senza insulina in 30 pazienti (NIT). Tutti i soggetti ricevettero nuove dentiere mascellari convenzionali; 25 ebbero nuove dentiere mandibolari convenzionali e 43 ricevettero sovraprotesi con clips in plastica ed una barra di Hader ancorata a due impianti osteointegrati (IOD). I soggetti valutarono le loro percezioni di accettazione del gusto, della consistenza e della facilità a masticare in una scala nominale a quattro punti e la frequenza di assunzione, su una scala a cinque punti, di tredici cibi specifici all’inizio dello studio (con le vecchie dentiere) e sei mesi dopo la terapia (PTC). I test esatti di Fisher vennero utilizzati per confrontare la variazione in percentuale della distribuzione delle risposte al trattamento. Venne effettuata un’analisi della varianza (ANOVA) con misurazioni ripetute 2x2x2 per confrontare i punteggi medi tra i due gruppi di dentiere, i due gruppi di diabetici e due intervalli di tempo per ognuno dei tredici cibi e delle quattro domande correlate all’accettazione del cibo. Risultati: All’inizio dello studio, non si rilevarono differenze significative tra la frequenza delle distribuzioni delle risposte nei gruppi CD e IOD o in quelli IT e NIT per tutti i 52 confronti. Con entrambi i tipi di dentiere dello studio, una maggior percentuale di pazienti notò un peggioramento anziché un miglioramento della funzione. Quando distribuzioni percentuali, basate sui cambiamento attuali positivi o negativi (effetto del trattamento) nelle risposte dei pazienti, furono confrontate si rinvenirono differenze significative per tre delle 52 risposte a favore del gruppo IOD. Il test ANOVA dimostrò differenze medie significative per quattro delle 52 comparazioni. Conclusioni: Entrambi i tipi di dentiere risultarono in rifiuti della percezione dei gusti e della consistenza per la maggior parte dei cibi testati. Diminuzioni nella facilità di masticazione e frequenza dei pasti, furono più comuni e maggiori nel gruppo CD che in quello IOD. Entrambi i tipi di dentiere dello studio fallirono nell’influenzare le scelte dei cibi, come evidenziato dai rifiuti o dai limitati miglioramenti nella frequenza percepita con cui la maggior parte dei cibi vennero mangiati. Implicazioni cliniche: In questo studio, anche dopo sette mesi di adattamento, i pazienti riferirono che le nuove dentiere convenzionali o implanto-ritenute, fallirono nel raggiungere un livello di funzione associabile alle precedenti dentiere.

47)JPD 2002;87:74
“L’influenza dell’avvitamento della vite del pilastro sulla configurazione della connessione.”
(L. Lang et al)
Esposizione del problema: Limitare le discrepanze tra pilastro ed impianto e i movimenti rotazionali del pilastro attorno all’impianto a meno di cinque gradi risulterebbe in una connessione più stabile. Tuttavia, l’esatta relazione, dopo l’avvitamento della vite del pilastro, è sconosciuta, come lo è del resto l’effetto di uno strumento di contro-torsione nel limitare i movimenti del pilastro durante l’avvitamento della sua vite. Scopo: Questo studio esaminò l’orientamento del pilastro (femmina) con quello implantare (maschio) dopo avvitamento della vite del pilastro in molti sistemi di pilastro con o senza l’utilizzo di uno strumento di contro-torsione. Materiali e metodi: Trenta impianti conici autofilettanti (3.75x10 mm) e dieci impianti a piattaforma larga (5x10 mm) del Branemark System, insieme a dieci campioni di pilastri dai sistemi CeraOne, Estheticone, Procera e AuraAdapt, vennero scelti per questo studio. Gli impianti furono tenuti fermi da uno strumento di bloccaggio prima che i pilastri fossero avvitati. Quando la forza di avvitamento consigliata per ogni sistema di pilastri fu raggiunta con l’uso di uno strumento di contro-torsione, ogni campione pilastro-impianto fu rimosso dallo strumento di bloccaggio ed immerso in una resina. I campioni vennero sezionati in direzione orizzontale a livello degli esagoni e puliti dai frustoli prima di essere esaminati. L’orientamento degli esagono fu valutato in gradi e direzione di rotazione dell’esagono del pilastro attorno a quello dell’impianto. Risultati: L’estensione del massimo grado di rotazione di tutti e quattro i gruppi di pilastri avvitati con o senza strumento di contro-torsione fu poco più di 3.53 gradi. I gradi assoluti di rotazione per tutti e quattro i gruppi di pilastri furono meno di 1.50 con o senza strumento di contro-torsione. Conclusioni: L’orientamento esagono contro esagono misurato come accoppiamento rotazionale su tutti i sistemi di pilastri, fu sotto i cinque gradi suggeriti come ottimali per la stabilità della connessione. Il grado assoluto di rotazione per tutti i quattro sistemi di pilastri fu di meno di 1.50 gradi, indipendentemente dall’utilizzo o no dello strumento di contro-torsione. Implicazioni cliniche: In questo studio, l’orientamento randomizzato dell’esagono del pilastro a quello dell’impianto, apparve essere più in relazione alla posizione iniziale del pilastro rispetto all’impianto, ad opera del protesista, che alla precisione dell’accoppiamento o all’utilizzo di uno strumento di contro-torsione.

48)QI (Quintessence International) 2001;32:797
“Influenza di un pilastro implantare sui valori del Periotest: uno studio in vivo.”
(G. Gomez-Roman et al)
Scopo : I valori del Periotest per impianti dentali dipendono dal tipo di pilastro protesico utilizzato per la restaurazione. Se il valore del Periotest non può essere misurato su una corona singola, il valore del Periotest usato come confronto, deve essere derivato dalla stessa sovrastruttura. Materiali e metodi: 59 pazienti vennero selezionati da un regolare sistema di richiami. Alla fine del periodo di guarigione, il valore del Periotest di impianti Frialit-2 furono prima misurati sul pilastro di guarigione e poi su quello protesico. I valori furono confrontati con le misure del Periotest ottenute all’inserzione protesica e durante la prima visita di controllo. Risultati: Confrontato con i valori inseriti sulle corone, il valore del Periotest misurato sul pilastro di guarigione, diminuì in media di 3.5 volte. Misurazioni sul pilastro protesico diminuirono di 1.7 volte. Al primo richiamo e sotto il carico masticatorio, i valori aumentarono in media di 1.8 volte. Queste differenze si scostano significativamente dallo zero. Conclusioni: Se sono necessarie misurazioni su diversi pilastri come pilastri protesici o corone singole, confronti dei valori del Periotest, in accordo con i valori medi suggeriti, porteranno a risultati più precisi. Si raccomanda che le misurazioni con Periotest vengano effettuate durante le fasi protesiche e ad ogni controllo, per permettere confronti qualora vengano rimosse delle parti del pilastro protesico.

49)QI 2002;33:5
“Sovraprotesi (overdenture) mandibolari immediate implanto-ritenute da corone coniche: un nuovo concetto di trattamento.”
(D. May et al)
La ritenzione di dentiere mandibolari mediante due o quattro impianti è una procedura standard in implantologia. In aggiunta alla abbastanza tradizionale ritenzione a barra, altri mezzi di ritenzione sono disponibili per quasi tutti i sistemi implantari. La metodica di splintare subito quattro impianti con una barra per ottenere il carico immediato fu descritta già nel 1979. La metodica descritta in questo articolo derivata dall’esperienza pratica, è basata sul carico immediato di quattro impianti interforaminali Ankylos senza l’uso di una barra di connessione. La protesi viene ritenuta da corone coniche prefabbricate che sono posizionate nelle preesistenti dentiere mediante polimerizzazione intraorale immediatamente dopo la chirurgia e che sono ritenute da corrispondenti pilastri primari conici. Questa metodica facilita lo splintaggio secondario utilizzando la dentiera stessa.

50)PPAD (Practical Procedures & Aesthetic Dentistry) 2001;13:691
“Estetica gengivale periimplantare predicibile: fondamenti chirurgici e protesici.”
(J. Kois et al)
Il riassorbimento in seguito a estrazioni di denti mascellari anteriori è comune e spesso compromette i livelli dei tessuti gengivali per le restaurazioni protesiche. La creazione di una estetica predicibile richiede adeguata comprensione e preservazione dei tessuti ossei e gengivali circostanti il dente da estrarre. Questo articolo valuta i vari fattori che influenzano la predicibilità dell’estetica gengivale nella sostituzione del dente singolo anteriore superiore. Le procedure chirurgiche e protesiche per il mantenimento dell’estetica periimplantare sono anche presentate utilizzando un elemento mancante a uovo sostenuto da una protesi parziale rimovibile provvisoria inserita immediatamente dopo l’estrazione e l’inserzione implantare.

51)PPAD 2001;13:711
“Un elemento mancante a uovo rimovibile per la preservazione dell’architettura periimplantare durante l’inserzione immediata dell’impianto.”
(J. Kan et al)
La perdita improvvisa di un dente singolo anteriore nella zona estetica può essere un’esperienza traumatica. Sebbene la restaurazione del dente singolo mediante impianti osteointegrati sia stata ben documentata, il posizionamento di un impianto singolo anteriore può venir complicata dalla sua posizione e dai circostanti tessuti di supporto. Numerosi autori hanno dimostrano l’importanza delle sottostanti strutture ossee per la collocazione finale dei tessuti gengivali. Dimensioni dentogengivali di 3 mm vestibolarmente e 4.5 mm interprossimalmente del dente da estrarre devono essere rispettate e le strutture ossee devono essere preservate per un impianto di estetica predicibile. Tuttavia, la stabilità tissutale della restaurazione implantare, dipende dalla forma parodontale del futuro sito implantare. Dal momento che una perdita gengivale vestibolare ed interprossimale è difficile da ripristinare, le strutture ossee vengono preservate per permettere il mantenimento dell’architettura gengivale. Se il dente da estrarre ha un’architettura gengivale con sottostante adeguato supporto osseo che si armonizza con i denti circostanti, queste strutture devono essere mantenute mediante appropriate tecniche chirurgiche e protesiche già al momento dell’estrazione dentaria.

52)PPAD 2001;13:725
“Innesti d’osso e fattori della crescita e della differenziazione per la terapia rigenerativa: un riassunto della letteratura.”
(L. Rose et al)
La rigenerazione guidata dell’osso, innesti di tessuto, membrane rigenerative e materiali sostitutivi dell’osso sono stati usati per ricostruire inadeguati tessuti duri e molli, per ottenere un corretto posizionamento implantare. Polipeptidi della crescita, e fattori di sviluppo (GDFs) sono stati utilizzati con successo in modo esogeno ai difetti parodontali per attrarre nel sito i preosteoblasti e per accelerare la loro proliferazione stimolando l’angiogenesi. Questo articolo fornisce una visione d’insieme delle contemporanee modalità per ricostruire l’osso e i tessuti molli persi durante il trattamento della malattia parodontale.

53)PPAD 2001;13:761
“Un approccio trifasico alla restaurazione implantare estetica: il concetto di profilo di emergenza.”
(M. Davarpanah et al)
Un appropriato piano di trattamento ed una precisa valutazione dei vari parametri (es: volume osseo, tessuti molli, anatomia dentale, componenti chirurgiche e protesiche) sono cruciali per una restaurazione implantare estetica. L’approccio trifasico del concetto del profilo di emergenza guida la scelta dell’impianto, del pilastro di guarigione e della protesi provvisoria. L’adattamento delle fasi implantari, del provvisorio e della protesi definitiva e la loro armoniosa integrazione con i tessuti molli, permette l’ottenimento di un valido risultato estetico. Questo articolo dimostra l’incorporamento del concetto del profilo di emergenza per il posizionamento estetico di un impianto.



[ ABSTRACTS ] [ LINKS ] [ LETTERATURA ] [ CASI CLINICI ] [ HOME ]